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 2016  ottobre 20 Giovedì calendario

Un anno da Justin

«Voi volete un governo con un programma positivo, ambizioso e pieno di speranza. Amici, vi prometto che io sarò il leader di quel governo». La sera del 19 ottobre 2015 il leader del Partito liberale canadese, Justin Trudeau, neo-vincitore con la maggioranza assoluta dei voti alle elezioni, si rivolgeva così al popolo dei suoi fan. In giacca e cravatta (rossa), al fianco la bella moglie Sophie (le guance ancor più rosse).
È passato un anno, vissuto sul filo dell’onda come piace a lui, surfer provetto ma anche ex pugile, attore, insegnante di matematica e soprattutto figlio d’arte: suo padre, Pierre Trudeau, fu uno dei più amati politici e premier del Canada. Un anno fa, tutti si chiedevano: il suo aitante rampollo sarà all’altezza?
A guardare i sondaggi si direbbe proprio di sì: due terzi dei canadesi approvano la sua leadership. «Se paragonato agli altri leader internazionali, ha indici di gradimento da far morire d’invidia», dice Darrell Bricker, Ceo di Ipsos Public Affairs, che però frena i facili entusiasmi: «Anche il precedente premier, il conservatore Ben Harper, dopo un anno di governo godeva più o meno della stessa popolarità». Harper ha poi «regnato» per nove anni, grigio e piuttosto cinico, e alla fine i canadesi avevano fame di cambiamento. Trudeau era pronto.
La luna di miele potrebbe finire, ma per ora il bel Justin continua a navigare con il vento in poppa, grazie anche a un’opposizione più debole che mai e a vicini di casa, gli Stati Uniti, che non riescono ad esprimere un leader davvero carismatico. Il suo fascino ha conquistato soprattutto i giovani, che un anno fa sono accorsi in massa alle urne. Tra di loro, moltissime donne. D’altronde, Trudeau si auto-proclama femminista, e forse di questo dobbiamo ringraziare la sua turbolenta mamma Margaret, già amica intima dei Rolling Stones. Una delle sue prime mosse a effetto è stata la decisione di formare un governo con il 50 per cento di ministre donne. Perché? «Perché siamo nel 2015», fu la risposta lapidaria del neopremier che conquistò i social network con milioni di «like».
Restano sacche d’insoddisfazione: la «questione indiana» è tutt’altro che risolta e il movimento no global lo accusa di essere un «falso profeta». Critiche che non scalfiscono la trudeaumania: se si votasse di nuovo oggi, il leader liberale vincerebbe con un margine ancora più ampio del 2015. Politically correct al punto giusto – memorabile il suo benvenuto ad una famiglia di profughi siriani: «Siete al sicuro a casa» – primo premier a scendere in piazza con il Gay Pride o a sostenere la legalizzazione della marijuana, Trudeau ha sfruttato al meglio il nuovo marketing politico via internet ma ha anche saputo tenere la rotta nelle burrasche economiche.
Il Canada ha affrontato una durissima recessione improvvisa (dovuta al crollo del prezzo del greggio), che il premier ha deciso di combattere con l’aumento della spesa pubblica e un taglio alle tasse per le classi medie. Ora i dati macroeconomici sembrano stabilizzati – a settembre, il Pil cresceva del +0,5% – ma restano molte incertezze.
In sospeso, anche l’accordo commerciale con l’Ue (Ceta), che si è incagliato in questi giorni nel veto del Belgio. Trudeau ha risposto con insolita durezza: «L’Europa non è in grado di firmare un’intesa progressista con un Paese come il Canada. Se non riesce con noi con chi pensa di fare affari nei prossimi anni?».