la Repubblica, 20 ottobre 2016
L’amaca di Michele Serra
Dovremmo aspettare la liberazione di Mosul dalla dittatura dell’Isis con la stessa trepidazione con la quale si aspettava che le truppe alleate o l’Armata Rossa cacciassero i nazisti dalle città europee. Basterebbe un ripasso anche distratto di quanto scritto e letto fin qui sull’esercito popolare curdo (che è solo uno degli attori sul campo, ma quello più radicalmente opposto al Califfato dal punto di vista politico e simbolico: e si tratta di musulmani) per ritrovare, nella confusione del mondo, una ragione e un torto, una causa di giustizia da amare e una di oppressione da odiare.
Ma non ce la facciamo proprio, a considerare una città irachena (popolosa come Milano: un milione e mezzo di abitanti, ma per la metà bambini e ragazzi, a differenza di Milano) come un luogo a noi prossimo e il cui destino è decisivo anche per noi. L’Iraq dista da qui poche ore di aereo; per giunta quello stesso fronte – lo sappiamo bene – si ramifica fino alle nostre città, nelle forme del terrorismo islamista. Si dice tanto della globalizzazione, ma nonostante la rete capillare della comunicazione avvolga la Terra come un’arancia stretta tra due mani, ogni spicchio è partecipe quasi esclusivamente del proprio destino.