Libero, 20 ottobre 2016
Supermulta alla mamma che parla male di papà
Tra moglie e marito non si mette il dito. Oggi più che mai si mettono solo le sentenze. Tribunale di Roma prima sezione civile, presidente dottoressa Franca Mangano, sentenza numero 18799/2016. In estrema sintesi e chiedendo scusa per l’inevitabile approssimazione: cara mamma nonché ex moglie, non parlare male del tuo ex marito, non screditarne l’immagine agli occhi dei figli. Se lo fai o se i giudici ritengono che tu l’abbia fatto, paghi. Per la precisione, 30.000 euro che un ricca ereditiera romana dovrà versare all’ex marito, imprenditore con un brillante passato sportivo.
La storia, come tutte quelle che emulano la “Guerra dei Roses”, è complicata e non spetta a noi dire chi debba appendersi al lampadario e chi chiedere scusa. Non siamo Danny De Vito (è il regista del film, lo ricordate?) e neppure Warren Adler (autore del libro da cui la pellicola è tratta). Semplici cronisti alle prese con una storia che potrebbe costituire un precedente giuridico di non poco conto. Care mamme, voi che spesso vi lagnate degli ex mariti, voi che spiegate ai figli nei minimi dettagli perché il padre non merita questo e quello, perché ha sbagliato, da oggi in poi contate fino a tre prima di parlare. Anche fino a trenta. La sentenza è in agguato, e potrebbe scrivere, come nel nostro caso: non opponetevi al fatto che il figlio frequenti il padre, rispettate il ruolo genitoriale dell’ex coniuge, astenetevi «da ogni condotta negativa e denigratoria». Per favore, nessun rancore. Fatelo per il bene dei figli.
Non sono separato e non intendo separarmi. Però plaudo: e che miseria, il padre capro espiatorio (sentenza del tribunale civile di Roma a parte) è un classico delle famiglie sfasciate italiane. Si sa, la mamma è la mamma. Il papà, spesso, è “nu piezz’ ‘e fetente” (anche non a Napoli). E i figli ci rimettono le penne. Nel caso specifico, poi, il figlio (terzo di tre) ha anche qualche problemino, così riassunto dai giudici: «bassa statura, ginocchio valgo, piedi piatti, scoliosi (...), tutte manifestazioni che pur non destando allarme a livello clinico inequivocabilmente pesano sul processo di accettazione del sé e sulla formazione della personalità che caratterizza l’età adolescenziale...».
Riassumo: il figlio non è il prototipo dell’atleta, il padre è un ex atleta, il figlio, forse, risente delle sue difficoltà e del confronto. E il tritacarne familiare (non importa da chi azionato) lo macella. Al giudice girano le scatole, e arriva la sentenza: affidamento congiunto ad entrambi i genitori «con collocazione residenziale presso la madre e facoltà per il padre di vedere e tenerlo con sé quando vorrà», ovviamente previo accordo. Con un monito: se la mamma non cambia atteggiamento, rischia la modifica delle condizioni di affido. Traduzione: fate i genitori, aiutate i bambini. Litigate pure, ma non gettatevi i figli in faccia. E se non ci riuscite, ricordatevi: una volta andavate d’accordo. Rispettate anche la vostra storia.
Saggia sentenza. E forse, visto come vanno le cose, ce ne vorrebbe una simile anche per tante famiglie italiane non sfasciate.
Voi che abitate nel “Mulino Bianco”, pace, amore e gioia infinita, quante volte avete sentito la mamma prendersela con il padre? Ed è anche giusto, noi siamo “piezz’ ‘e fetenti”, ma oggi ci sentiamo più tutelati.