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 2016  ottobre 01 Sabato calendario

Cinquanta volte Weah. Intervista

George Weah oggi compie 50 anni ma il numero conta zero: sono molti di più. Un po’ perché diversi compagni del Milan dicevano che George, 28 anni per la carta d’identità, nel 1995 era già pericolosamente in zona 35. Soprattutto perché nessun campione del calcio moderno ha vissuto due, tre, quattro vite in una. George sì, la sua esistenza è stata come il gol al Verona: una traversata nel deserto, con meno dell’1% di possibilità di arrivare dall’altra parte. C’è riuscito. George Manneh Oppong Ousman Weah è cresciuto in una casa di lamiera di uno slum liberiano, nell’Africa occidentale. Qualcuno ha tentato di raccontare le notti della sua infanzia: 13 fratelli sul pavimento e nonna Emma sul letto. George dice che non ne vuole parlare, ma i vecchi articoli e le vecchie interviste fanno impressione. Raccontano che George da ragazzino fumava marijuana, beveva, giocava a carte e a dadi per fare qualche soldo. Eppure era un predestinato. Nonna Emma una volta sognò Allah che le diceva «Ti regalo questo bambino, sarà un calciatore e ti ricompenserà fino alla fine dei tuoi giorni». Weah, a profezia quasi realizzata, raccontava al Corriere come la sua vita fosse legata a quell’impatto col mondo: «Ho mille paia di scarpe, perché da piccolo non le avevo, e tante le regalo a chi me le chiede. Non lascio mai un boccone nel piatto e l’ho insegnato anche ai miei bambini: mai buttare niente».
Che effetto fa oggi ripensare a quei giorni lontani?
«Ho avuto una vita molto difficile, a volte a casa non c’era neanche da mangiare, ricordare non mi piace. Poi non ci sono più mia mamma, mio papà, mia nonna: guardo al futuro».
Va bene. Che vuole fare George Weah nei prossimi 50 anni?
«Essere al servizio dell’uomo. Grazie a Dio sono arrivato a 50, ora spero nella buona salute, che non è facile avere. Voglio lavorare per il mio Paese, per la gente liberiana».
Nel 2017 ci saranno le elezioni in Liberia. Dopo la sconfitta nel 2005, avremo Weah presidente?
«La Liberia ha 169 anni e niente è facile, neanche il prossimo anno. Aspettiamo».
E il calcio, dimenticato?
«No, ora però vedo lo sport alla tv, come un vecchio di cinquant’anni. Scherzo, ho ancora il fisico, ogni giorno alle 8 vado in palestra e mi faccio i muscoli».
Il Milan invece non è al massimo della forma…
«Ho visto qualche partita e in effetti non è stata una soddisfazione. Però il Milan è il Milan, spero che ogni cosa funzioni. Non va bene che la gente allo stadio sia triste».
Che effetto fa sapere che potrebbe essere cinese?
«Se possono fare una grande squadra, perché no? Con il Psg è stato uguale, per comprare i campioni servono soldi».
Il Milan è stata la squadra più forte mai vista?
«Sì, quel mio Milan, quello dei due scudetti, era fortissimo. Mai vista una squadra così».
Resta qualche contatto? Magari con Marco Simone…
«Ho visto Marco l’anno scorso, lui per me è sempre stato un fratello. L’altro ieri ho parlato con Ibou Ba e ovviamente sento il mio amico Gandini, che ora è alla Roma».
Mercoledì l’Italia è tornata a sentir parlare di Weah: 3 gol di Timothy in Youth League. È più forte lui o era più forte papà?
«Sì, sono contento. Ringrazio Dio per questo fantastico giocatore, mio figlio. Spero che cresca bene, umile, e diventi molto più forte di me».
Dio resta una presenza forte?
«Certo, io prego quando va bene e prego quando va male. Quando prego non ho paura di niente. Prego anche per ringraziare. A 22 anni sono andato al Monaco, ho vinto il Pallone d’oro europeo e quello africano, sono diventato ambasciatore Unicef, leader di un partito, ambasciatore del mio Paese e della pace. Ho anche segnato quel gol partendo da lontanissimo contro il Verona».
Sembra tutto riassunto in una frase. Che cosa resta da dire?
«Che l’Italia mi manca. Viva l’Italia, come una volta».