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 2016  settembre 30 Venerdì calendario

Boeri, un uomo rimasto solo

Non è amato dal governo che pur lo nominò – quasi due anni fa – presidente dell’Inps. Non sta a cuore ai parlamentari, da lui considerati percettori di pensioni e vitalizi non giustificati dai contribuiti versati. Non piace ai suoi dirigenti, visto che la riforma che sta faticosamente cercando di portare a termine ne elimina un bel po’ (le direzioni passano da 48 a 36) riducendone anche i poteri discrezionali. Ne parla male gran parte del sindacato e probabilmente neppure i sacerdoti sono molto ben disposti nei suoi confronti visto che in una delle sue operazioni trasparenza (“Porte aperte”) denunciò il rosso cronico di oltre 2 miliardi del Fondo clero.
Tito Boeri, economista, professore, presidente dell’Inps è da giorni sotto attacco per via della nuova organizzazione che sta cercando di imporre all’istituto di previdenza. Uno scontro esploso ieri nell’audizione alla Commisione bilaterale sugli enti gestori e arrivato ormai ad un punto di non ritorno: il Civ dell’Inps (il Comitato di vigilanza formato da imprese e sindacati) ha presentato ricorso al Tar contro quella riforma e il suo presidente, Pietro Iocca (Cisl), ha accusato Boeri di voler «asciugare le competenze interne e la democrazia per restare un uomo solo al comando». Il presidente dell’Inps ha risposto definendo il ricorso al Tar «drammatico e costoso» e assicurando che andrà avanti per la sua strada, con «pochi aggiustamenti che non cambieranno la sostanza». Obiezioni respinte dunque, ma in realtà questa è solo l’ultima tappa di un intero mandato vissuto sull’orlo della polemica. Il governo, infatti, pur se lo ha nominato (e molti allora si definirono «sorpresi»)non ha simpatia per Boeri: prima del Civ la sua riforma aveva già incontrato le «perplessità» (lui le ha definite «richieste di chiarimenti») dai due ministeri vigilanti, l’Economia e il Lavoro. Più favorevole il parere espresso dalla Funzione Pubblica che non ha contestato illegittimità. Anche perché pure la ministra Madia ha il suo bel da fare con la sua riforma dei dirigenti e i loro malumori.
Guardando al governo va detto che i rapporti fra Boeri e il ministro Poletti sono sempre stati piuttosto freddi. Anche perché un mese prima della sua nomina all’Inps Boeri twittò un «intollerabile che il ministero Lavoro manipoli i dati comunicazioni obbligatorie per smentire dati Istat». E il fatto che nell’estate del 2015 il presidente dell’Inps abbia presentato un modello di riforma delle pensioni chiavi in mano, non può aver migliorato i rapporti con il dicastero che dovrebbe essere titolare in materia. Poletti rispose con un gelido «tutte le idee sono utili», ma fu probabilmente in quella occasione che Boeri si giocò i favori dell’intero governo, poco incline alle sue autonome iniziative. Le persone vicine al presidente dell’Inps dicono che «con Renzi i rapporti sono buoni», ma certo palazzo Chigi non lo sta difendendo nella sua battaglia. E se la presa di posizione di Boeri sulla riforma del lavoro sembrava avesse stemperato il gelo(«grazie al job acts, l’occupazione in Italia è cresciuta più dell’economia»,) le sue dichiarazioni sulla necessità di far pagare un contributo di solidarietà alle pensioni ricche lo hanno rafforzato. «Il rischio di mettere le mani nelle tasche sbagliate è troppo alto» gli rispose il sottosegretario alla Presidenza Nannicini. Resta da vedere se il governo vuole aprire un nuovo fronte sul versante previdenziale. Boeri, comunque, ieri ha lanciato il suo avvertimento: «Senza la riforma ’Inps ci saranno problemi nell’attuazione dell’Ape», il pensionamento anticipato cuore degli interventi di Renzi sulle pensioni.