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 2016  settembre 30 Venerdì calendario

Il problema delle confezioni dei farmaci, troppo grandi

Un farmaco su dieci finisce nel cestino perché le scatole contengono più o meno pillole di quelle che servono per completare la terapia. Uno spreco che da solo ci costa 1,6 miliardi l’anno. Poi consulenze d’oro che fanno gettare al vento altri 780 milioni, servizi di mensa e pulizia pagati molto più del dovuto per uno sperpero di quasi un miliardo. E ancora, project financing troppo costosi utilizzati per costruire ospedali, spese legali inutili per procedimenti contro medici e nosocomi destinati all’archiviazione. In tutto circa 3,5 miliardi di sprechi l’anno certificati da uno studio del sindacato dei medici ospedalieri Anaao-giovani proprio mentre il Ministro Lorenzin tenta di difendere con le unghie 2 miliardi in più di finanziamento per la sanità.
Tra sperperi noti ed altri meno a colpire è comunque quello delle scatole o troppo grandi o troppo piccole di medicinali, che finiscono per intasare prima gli armadietti di casa e poi le discariche. Che per colpa delle scatole con un numero di pillole inadeguato alla terapia si sprechi il 10% dei medicinali lo ha certificato anche il prestigioso British Medical Journal. Quel che non si capisce è come ciò avvenga ancora da noi, dove da almeno dieci anni leggi e manovre economiche prescrivono all’industria di produrre «confezioni ottimali» di medicinali, tarate sulla durata di una terapia. Invito rimasto inascoltato. Qualche esempio ce lo fa Pierluigi Bartoletti, vice segretario nazionale della Fimmg, la Federazione dei medici di famiglia. «Quasi tutti gli antibiotici ad esempio sono venduti in confezioni tutt’alto che ottimali. L’amoxicillina con acido clavulanico (il noto Augmentin) è commercializzata in blister da 12 compresse, che bastano per 6 giorni di terapia, quando minimo di giorni ne servono sette». «Così – spiega Bartoletti – il paziente deve acquistare una seconda scatola per consumare magari solo due pastiglie, mentre le altre 10 finiscono nell’armadietto». Da questo poi allo smaltimento rifiuti, «quando il paziente avendole sottomano non decide alla prima occasione di utilizzare le pillole che restano per soli 5 giorni, che non servono a curare ma a creare le famigerate resistenze agli antibiotici da parte dei nuovi super-batteri», mette in guardia citando molti altri esempi. Come la Ciprofloxacina, altro diffuso antibiotico venduto in scatole da 5 compresse anziché da sette. Come dire che se ne acquista una seconda confezione buttando poi nel cestino le restanti 3 pillole. «Analogo spreco avviene per gli anti-ipertensivi per i quali le confezioni sono solitamente da 28 compresse. Troppo poche per la terapia di un cronico, troppe per chi deve solo testare il funzionamento del farmaco, magari per solo 10 o 15 giorni», spiega sempre Bartoletti.
Difficile è anche districarsi tra la selva di consulenze ed incarichi esterni per funzioni che più volte la Corte dei conti ha certificato poter essere svolte da personale interno all’amministrazione sanitaria. Come il caso della Asl siciliane che hanno speso milioni per avvocati esterni pur avendo un ufficio legale.
Poi c’è il ben noto sperpero di servizi non sanitari come mense e pulizie, dove le enormi difformità di costi da Asl ad Asl, a parità di servizio offerto, fanno parlare di un sovrapprezzo del 29%, pari a 979 milioni di euro gettati al vento.
Infine il project financing utilizzato nell’ultimo decennio per costruire 19 ospedali da 2 miliardi di euro. Costi spropositati visto che per ottenere finanziamenti privati si arriva a pagare un 10-12% di interesse contro il tasso dell’1,5 praticato dalla Bei, la Banca di investimenti europei.