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 2016  settembre 29 Giovedì calendario

La produzione mondiale di petrolio sarà tagliata

Fino alla vigilia non ci credeva quasi nessuno, ma l’Opec ad Algeri è riuscita a ricompattarsi al punto da trovare l’accordo per un taglio di produzione di oltre 700mila barili al giorno, il primo da otto anni a questa parte. La notizia, arrivata sui terminali dopo quasi cinque ore di riunione (e infiniti colloqui bilaterali) tra i ministri dell’Organizzazione, ha proiettato in rialzo del 5% le quotazioni del petrolio, portando il Brent a chiudere a 48,69 dollari al barile.
Che la decisione finale non sia stata facile lo dimostra anche il linguaggio scelto per comunicarla, con termini scelti con cura per non urtare l’opinione pubblica in nessuno dei paesi membri. Per cominciare non si è parlato esplicitamente di «tagli», anche se di fatto è di questo che si tratta: l’output verrà limitato a 32,5 milioni di barili al giorno, rispetto all’attuale livello di 33,24 mbg.
La vera criticità è comunque un’altra: l’«esecuzione» del piano, su cui saranno chiamati a collaborare anche i produttori non Opec, è rinviata al prossimo vertice ufficiale dell’Organizzazione, in programma per il 30 novembre a Vienna. In quella sede si promette di risolvere il nodo più difficile, col rischio – in caso di fallimento – di svuotare di significato l’intero accordo: dovranno infatti essere assegnati i livelli produttivi consentiti a ciascun paese, in pratica le quote individuali alle quali l’Opec si era rassegnata a rinunciare nel 2006.
Ora quanto meno il tetto collettivo sembra essere stato ripristinato, dopo il clamoroso abbandono alll’ultimo vertice, nello scorso giugno, ma far digerire una nuova quota a ciascun paese membro potrebbe essere molto difficile: basti pensare che dieci anni fa l’Iran estraeva 4,1 mbg, contro gli attuali 3,6 mbg, e l’Arabia Saudita 9,1 mbg, contro i 10,6 mbg di oggi.
Il risultato raggiunto ieri ad Algeri è comunque importante: una «decisione eccezionale», per usare le parole del ministro iraniano Bijan Zanganeh, il primo a rallegrarsi pubblicamente del «consenso raggiunto sulla gestione del mercato».
L’Algeria porta evidentemente fortuna all’Opec: l’ultima volta che il gruppo era riuscito a trovare l’unanimità per un intervento, la riunione si era svolta proprio in questo paese. Era il 17 dicembre 2008, in piena recessione globale, e il gruppo riuscì a risollevare il prezzo del barile decretando un maxi-taglio di produzione da 4,2 milioni di barili al giorno.
In seguito il cartello è precipitato in una crisi sempre più profonda, che ha raggiunto l’apice negli ultimi vertici, durante i quali si è vista un’irritazione diffusa per l’inefficacia – o quanto meno la lentezza – della strategia saudita: nonostante la produzione dei concorrenti sia calata per effetto dei prezzi bassi, il petrolio dopo due anni non è ancora riuscito a risollevarsi sopra 50 dollari al barile e le sofferenze per i paesi Opec si sono fatte sempre più acute.
Nonostante il diffuso scetticismo tra gli analisti, la riunione di ieri ad Algeri si era aperta sotto buoni auspici, con dichiarazioni estremamente concilianti da parte di Arabia Saudita e Iran. «Dopo tutto penso oggi faremo grandi passi avanti», aveva detto l’iraniano Zanganeh. Lo stesso ministro sembrava anche aver rinunciato alla strenua difesa del diritto di Teheran a tornare a estrarre 4 mbg, il livello produttivo che sosteneva di avere prima delle sanzioni internazionali: da ieri Zanganeh ha cominciato a dirsi pronto a un accordo che consenta di arrivare «vicino a 4 mbg».
«Riguardo ai livelli a cui congeleremo, il gap tra i paesi Opec si sta riducendo – aveva osservato da parte sua il saudita Khalid Al Falih – Le opinioni stanno diventando molto, molto vicine».
A trovare la quadra sembrano essere stati i padroni di casa algerini. Il documento che ha fatto da base alle discussioni, filtrato alla Bloomberg mentre i ministri erano ancora riuniti, prevedeva un taglio di produzione complessivo di 796mila bg rispetto ai livelli di agosto. Era prevista anche una ripartizione dei sacrifici: a ciascun paese membro si chiedeva di tagliare dell’1,6%, con l’eccezione di Nigeria e Libia – «escluse date le circostanze eccezionali» – e dell’Iran, al quale era proposto un tetto, calcolato in base alla produzione media tra il 2001 e il 2011, di 3,7 mbg: circa 100mila bg più di oggi se si utilizzano le stime delle cosiddette fonti secondarie, 100mila in meno con riferimento all’output vantato dalla Repubblica islamica.
Per l’Arabia Saudita il documento suggeriva invece un limite di 10,145 mbg, all’incirca quanto estraeva in gennaio, il che implica un taglio di quasi 600mila bg rispetto al record di produzione di agosto.
La ripartizione verrà adesso esaminata da uno speciale comitato, in preparazione del vertice di novembre. D’altra parte gli incontri di Algeri erano – e sono rimasti – informali. Il che solleva peraltro un’ulteriore perplessità sull’accordo annunciato, che potrebbe non essere cogente data la sede in cui è stato deliberato.
C’è poi il nodo della Russia, passato in secondo piano nell’entusiasmo di ieri ma tutt’altro che trascurabile. Mosca, che era stata tra i più attivi promotori del fallito vertice di aprile a Doha, continua a offrirsi di collaborare all’azione dell’Opec, una volta che questa sarà formalizzata. Ma intanto, grazie all’avvio di nuovi giacimenti, ha bruscamente accelerato la produzione: in settembre, secondo stime preliminari, avrebbe estratto ben 11,1 milioni di barili al giorno, 400mila in più rispetto ad agosto. Si tratta di un nuovo record nell’era post-sovietica, che potrebbe essere ulteriormente battuto nei prossimi mesi (il massimo storico, raggiunto nel 1987, quando c’era ancora l’Urss, è di 11,4 mbg).
I colloqui a porte chiuse tra i ministri dell’Opec, iniziati alle 16 ora italiana, hanno tenuto col fiato sospeso gli osservatori per buona parte della giornata. Al punto da provocare incidenti spassosi, come la raffica di tweet innescata dall’improvvisa uscita di Zanganeh dalla sala riunioni: il ministro iraniano, si è scoperto poco dopo, non aveva rotto le trattative, ma era solo andato alla toilette.
Anche i mercati petroliferi hanno rispecchiato il nervosismo dell’attesa, con una seduta caratterizzata da violente oscillazioni di prezzo. Ad aumentare la volatilità ha contribuito anche la pubblicazione dei dati settimanali sulle scorte Usa, che ha mostrato un nuovo inatteso calo, il quarto consecutivo, per il greggio (-1,9 milioni di barili), mentre benzine e distillati si sono compensati (+2 mb le prime e -1,9 mb i secondi).