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 2016  settembre 26 Lunedì calendario

I cinquant’anni di Matteo Marzotto

Dice che oggi lo passerà a lavorare. Come il 26 settembre del 2006, il giorno dei suoi quarant’anni: «Sempre Fashion week, sempre al lavoro». Matteo Marzotto oggi di anni ne compie 50. E in realtà un regalo se l’è fatto: «Questo nuovo capitolo lavorativo con Dondup», marchio italiano di abbigliamento di cui è presidente da dieci giorni, e che ha la sua sede milanese in uno spazio bianco, luminosissimo, dove c’è un tavolo bianco e ampio dal quale ti parla. È gentile, cortese, signore come ti aspetti da uno che è imprenditore, uomo di mondo, ex presidente di Vionnet e di Valentino, presidente di Fiera di Vicenza, vicepresidente e fondatore della Fondazione ricerca fibrosi cistica (la malattia che si è portata via sua sorella Annalisa a soli 32 anni), quinto figlio di Umberto e Marta Marzotto. Ti racconta di sé e dei suoi primi cinquant’anni, molti finiti sulle pagine di gossip, molti altri tenuti dentro, qualcuno che trapela, con la malinconia del sole di settembre.
Partiamo dalla sua mamma, Marta Marzotto, che è morta da poco, il 29 luglio scorso. Le manca già?
«È una domanda interessante. Bisognerebbe forse approfondire il concetto di mancare. Però, anche solo considerando le abitudini della mia vita, negli ultimi vent’anni il dopo vacanza è sempre stato così: inaugurazione della Mostra del cinema di Venezia, poi la moda qui a Milano, poi Parigi. In pratica uscivo sempre con mia madre: ci sono migliaia e migliaia di foto insieme, in pubblico, che testimoniano centinaia e centinaia di eventi in cui il mio appuntamento era con lei, con la mamma; magari poi mi portavo anche la fidanzata, dietro».
E ora le fa impressione che non ci sia.
«Parlando di lei credo si debba mantenere il sorriso, perché così avrebbe voluto. Però mi fa impressione, sì. Per esempio l’altra sera ero a cena da Carla e Franca Sozzani ed ero da solo; all’apertura della Mostra del cinema di Venezia ero sempre da Franca, per il film sulla sua vita, e anche lì ero da solo. Il fatto è che in questo mondo in qualche modo sono stato introdotto da mia mamma, più che dal nome che porto. Anche se magari qualcuno si offende».
L’ha aiutata anche nel mondo della moda?
«C’è un episodio che pochi conoscono. Nel 2002, quando la Marzotto acquistò Valentino e dovevo andare a lavorare lì, la mamma mi diede una foto, che scovò non so dove, in cui c’era lei con me bambino e con Valentino, nel suo studio».
La portò a Valentino?
«Andai da lui, in quello stesso studio, con quella foto e fu un gesto piccolo, una di quelle che la mia amica Chiara Amirante definirebbe dioincidenze, ma mi ha permesso di entrare nella vita di Valentino e della società. Non era scontato. Tante volte mi hanno chiesto quale sia la prima cosa che mi viene in mente, nella mia vita nel mondo della moda».
Quale?
«Non l’azienda Marzotto, non i tessuti o l’abbigliamento, come veniva chiamato a casa, più modestamente. No, la prima cosa che mi viene in mente è un paio di scarpe Chanel della mamma allacciate, bicolore beige e crema: anche adesso le potrei riconoscere fra mille. E poi un suo abito di Saint Laurent scuro con dei fiori colorati ricamati meravigliosi. Quella era mia madre. In fondo abbiamo anche discusso io e lei, non avevamo la stessa visione in tutto. Però, pur avendo anche dei tratti di mio padre, forse fra i miei fratelli sono il più simile a lei».
Che cosa ha ereditato dai suoi genitori?
«Vengo considerato un comunicatore, anche se non sono un oggetto da esporre: ho 24 anni di esperienza alle spalle e una certa attitudine alla gestione, all’ordine, al rigore...».
Che ha preso da suo padre?
«Probabilmente. Non è che non sono discreto: la mia capacità di comunicazione mi costa, anche dal punto di vista psicofisico. Alla sera finisco cotto, morto. La mamma invece non finiva mai la sua esposizione, perché se ne nutriva. In questo siamo molto diversi. Però entrambi abbiamo sempre curato di comunicare noi stessi».
C’è chi non lo fa?
«Ho visto tanti vestire panni non loro: sono più bravi, hanno il compartimento stagno. Come la mamma, nelle grandi sconfitte io non riesco a mostrarmi sorridente. Simile a mio padre è che amo stare da solo e in silenzio. Non è che sia misantropo o respinga le persone, ma amo stare a casa mia. Sono uno scarso esempio di mondanità».
Proprio lei?
«Paradossalmente sì. Esco poco per mangiare fuori, qualche cinema, qualche teatro; se no preferisco stare a casa, sempre sempre».
Ma a volte lei e sua mamma litigavate?
«Mai, al massimo abbiamo bisticciato. Per esempio, se andavamo fuori insieme, a metà della cena lei spariva: magari voleva andare a casa, o a guardarsi una serie tv, chi lo sa. E io rimanevo lì, e tornavo a casa a piedi».
E il giorno dopo?
«Zero. Ma lei si divertiva a difendere la sua libertà e la sua autonomia: fra tante difficoltà che ha avuto nella vita, quello che in lei era formidabile è che è sempre stata una donna indipendente. Negli ultimi venticinque anni è sempre stata sola, non aveva un uomo. Ma amava sbattere in faccia a tutti che lei a 83, a 84, a 85 anni faceva quello che voleva».
In una intervista a Vanity Fair lei ha raccontato anche del cinismo che l’ha circondata, e di certa sinistra miliardaria...
«L’ho chiamata sinistra all’italiana, quella da salotto. Ma certo, c’è stato anche il cinismo: nella autobiografia della mamma c’è uno spaccato dell’Italia repubblicana».
Molti, anche donne e di sinistra, le voltarono le spalle, dopo lo «scandalo Guttuso».
«Non mi stupisco, è successo anche a me. Ma alla fine chi mi ha voltato le spalle mi ha fatto un favore».
Quando le hanno voltato le spalle?
«C’è stata una vicenda fiscale che mi ha molto addolorato, e che io ho subíto, soffrendone molto: in questi casi apprezzi le persone più vicine. Ho vissuto tante sconfitte, alcune ancora mi bruciano».
Quali sconfitte?
«Anche professionalmente, non avrei mai venduto Valentino».
A cinquant’anni qualche sassolino si può levare...
«E poi mi sono fidato di persone che hanno tradito la mia buona fede, l’affetto per loro».
Per i 50 anni farà una festa?
«No. Però ho promesso alla mamma che farò qualcosa, si vedrà. Oggi, come dieci anni fa, lavorerò tutto il giorno. Mi ricordo che quella sera ospitavamo una cena a casa, data da Anna Wintour e Franca Sozzani per l’amministratore delegato di Condé Nast. A un certo punto è spuntata una torta di tre piani con le candeline, ho visto la mamma ridacchiare e ho capito che aveva organizzato tutto...».
E quest’anno neanche una cena?
«Sono al mio primo giorno a Fossombrone, nella sede marchigiana di Dondup, poi sarò a una fiera a Rimini, una delle più grandi nel settore delle ceramiche. Non sono un fan dei compleanni. Una amica mi ha regalato una maglietta con la scritta 49 forever e dietro Matte».
Va bene, però cinquanta sono cinquanta. Cambia qualcosa?
«Eh sì, sono 50. Cambia che inizio a pensarci. Banalmente penso che ricordo nitidamente sapori, avvenimenti, stati d’animo di dieci anni fa e mi sembra ieri, e che fra dieci anni ne avrò 60: e a sessant’anni sei un signore. E fra vent’anni, se Dio vorrà, lo scriva proprio così, ne avrò 70».
Ed è così cambiato rispetto a dieci anni fa?
«Un po’. Ho capito che alcune cose non sono riuscito a farle, e non ci riuscirò mai. Da quando ho 25 anni ho messo nel lavoro tanta energia, ho dato quasi tutto quello che si possa dare e ho sperato in un certo cammino, che non è riuscito. Spesso all’alba mi sveglio e per qualche minuto, a letto, ho pensieri non tutti positivi».
Che cosa pensa?
«Quando ti svegli alle cinque, se ti si infila quel tarlo, e lo prendi come un bilancio, sei senza protezione: vedi solo il nervo scoperto, non quello che c’è intorno. Del resto ho il sonno superleggero, è una bestiaccia. Per questo devo allenarmi: tutti gli sport che pratico sono una benedizione. Ma bloccato qui a Milano non posso neanche pedalare...».
Senta, su Google col suo nome appare il seguente titolo: «Lapo, DiCaprio, Harry, Marzotto: gli scapoli d’oro rimasti». Per Harry si intende il principe d’Inghilterra.
«Tanta roba. Io direi che sono un vecchio dattero... Lapo è più giovane, ne ha di tempo lui».
Non stiamo parlando di Lapo.
«Se è una domanda, sono del tutto sopravvalutato in quel ranking, e non sono neanche molto interessato».
Sempre su Google, digiti Matteo Marzotto e il sistema completa la ricerca così: fidanzata, fidanzata 2016, fidanzata 2011...
«Prendo atto. È la società in cui viviamo che è fatta così, io preferisco altre modalità di comunicazione...».
Sì, però ci pensa a una famiglia?
«Ci penso da molti anni e ho sentimenti diversi. È un tema molto serio e dibattuto dentro di me, ma non ho ancora una risposta».
Al matrimonio ha mai pensato?
«Sì, ci ho pensato centinaia di volte. L’ho immaginato, ma non ho mai avuto l’occasione o, se le ho avute, le ho sprecate».
Ha rimpianti?
«No, perché non ho mai avuto una convinzione reale. Non è che dica non lo farò mai, oppure devo farlo perché è il momento. È che sono in un limbo sgradevole. Sono dichiaratamente incerto».
Ha una fidanzata adesso?
«Sto con una ragazza, diciamo. Fidanzata è una definizione delicata».
Ha questa faccia da bravo ragazzo. Lo è?
«Ormai, più che un bravo ragazzo, mi ritengo una brava persona. Con tutti i miei limiti».
È credente?
«Fervidamente».
Va a Messa?
«Il più spesso possibile. Cerco di pregare tutti i giorni, di leggere il Verbo tutti i giorni, certo poi applicarlo... In questo mi sento debolissimo».
C’è qualcosa che cambierebbe di sé?
«Tante cose. Mi piacerebbe riuscire a essere un po’ più freddo, anche se esternamente non si vede. E poi avere una memoria migliore per i nomi».
Che cosa non sopporta?
«L’arroganza e la prepotenza».
Ha dei sogni?
«Professionalmente, che le dioincidenze mi portino a dare un contributo positivo a dei progetti. Un sogno sarebbe vedere risolta la fibrosi cistica. O vedere la Fondazione per la fibrosi cistica prosperare, o vedere crescere Nuovi orizzonti, che si occupa di disagio sociale. A me basterebbe contribuire con una piccola utilità, e non lo dico con umiltà affettata».
Passa per uno glamour, la moda, i flirt, però sembra così serio.
«Eh... Diciamo così. Le donne mi piacciono, moltissimo: mi affascina la loro mentalità, le apprezzo. Sono nell’indecisione perenne, come ho detto. E poi ritengo che, crescendo, si possa anche cambiare un po’: a 35 anni facevo una vita dedita al lavoro per il 99 per cento, il che mi ha portato a essere molto esposto, e certo non mi nascondevo. Forse, quindici anni dopo ho un atteggiamento diverso, ma non per questo non vado al ristorante con una amica, anche se poi mi fotografano col cellulare e scrivono di tutto. Ma io me ne frego».
Insomma ora è un po’ più serio?
«Sono uno con la passione del lavoro, rilancio sempre, ci metto la faccia. Forse si può apparire più serio? Ai tempi di Naomi lavoravo come un pazzo, non dormivo neanche. Certo ero molto visibile, ma del resto ero il presidente di Valentino, era il mio brodo. Io sono sempre rimasto me stesso».
È ottimista?
«Sì, come credente lo sono».
Scaramantico?
«Molto. Però dal punto di vista spirituale so che è una debolezza».
Invidia qualcuno?
«Domanda difficile. Conosco il morso dell’invidia, sia perché la ricevo, e fa danni enormi, sia perché la provo. Me ne vergogno, peggio che se mi facessi la pipì addosso, me ne vergogno come un cane, ma è così».
E che cosa invidia? Talenti, cose?
«Situazioni, doti, sì».
È felice?
«Moderatamente».
Allora serve qualcosa di bello. Vola spesso in elicottero. Com’è guardare il mondo dall’alto?
«La gioia del volo trascende tutto, la macchina e la tecnologia. È tutto bello. Come pregare. È contemplativo, è tutto meraviglioso».