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 2016  settembre 26 Lunedì calendario

Lo yuan entra nel salotto buono

Secondo gli economisti affascinati dalla storia il primo ottobre sarà segnato da un evento potenzialmente assimilabile all’avvento dell’aureus romano, a quello del fiorino dei banchieri fiorentini tra il XII e il XV secolo e poi del gulden olandese tra XVII e XVIII secolo, all’epoca della sterlina tra il 1860 e il 1914 quando il 60 per cento dei traffici commerciali era denominato con la valuta inglese, per arrivare al dollaro americano. Da Roma antica a Washington, gli imperi prima e le superpotenze poi hanno battuto monete che dominavano i commerci e proiettavano la loro influenza. Ora in questo grande gioco geo-monetario potrebbe essere il turno di Pechino e del suo renminbi, la «valuta del popolo» che è l’altro nome dello yuan.
La novità
Il primo ottobre la banconota con la faccia di Mao su tutti i suoi tagli da 1 a 100 entra nel paniere delle valute con «diritti speciali di prelievo» del Fondo monetario internazionale. Significa che la moneta cinese sarà affiancata a dollaro americano, sterlina britannica, yen giapponese ed euro come valuta di riserva usata dal Fmi per sostenere la liquidità globale.
Lo yuan ha centrato i due criteri per l’inclusione: essere «largamente usato» e «liberamente usabile». Siccome la Cina è la regina mondiale dei commerci, lo yuan è largamente usato da tempo; il punto determinante era la libertà di usarlo. E su questo scoglio era affondato il primo tentativo cinese di entrare nell’élite valutaria, nel 2010.
Il funzionamento
Il paniere delle finora quattro monete, costituito nel 1969 (l’euro sostituì franco e marco nel 2000), non è tecnicamente una valuta, ma rappresenta la riserva a disposizione del Fmi per i prestiti a Paesi membri e i rimborsi. Alcuni analisti finanziari ritengono che l’inclusione dello yuan come quinta valuta potrebbe portare a una sua domanda globale di 500 miliardi di dollari. Al momento però le riserve in yuan delle banche centrali nel mondo sono stimate a circa 100 miliardi di dollari, sotto quelle del dollaro canadese; meno del 2% dei pagamenti globali sono regolati con la valuta cinese che è solo ottava nella classifica delle divise più negoziate. Evidentemente, decenni di ritardo dovuto al rifiuto maoista di entrare nell’economia mondiale di mercato e lo stretto controllo del flusso dei capitali anche dopo l’apertura voluta da Deng Xiaoping non si colmano solo con il pronunciamento del  Fondo monetario internazionale.
Resta il fatto che ora la Repubblica popolare è la seconda economia del mondo. Così, lo yuan entra nel paniere del Fmi con un peso del 10,92%, «scontato» quasi interamente dall’euro che scende dal 37,4% al 30,93; il dollaro resta quasi invariato al 41,73 rispetto al precedente 41,9; seguono lo yen all’8,33 e la sterlina con un peso dell’8,09. La quantità di ogni singola valuta sarà fissata per i prossimi 5 anni entro il 30 settembre per raggiungere questi pesi percentuali stabiliti l’anno scorso.
Con i dubbi di implosione dell’area euro e la Brexit che secondo un monito di S&P Global Ratings potrebbe minare lo status della sterlina come valuta di riserva, le aspettative cinesi sono elevate. Il presidente Xi Jinping ha fatto inserire nel documento finale del G20 appena ospitato a Hangzhou un benvenuto speciale allo yuan. Nel Piano quinquennale varato quest’anno dal Comitato centrale comunista, un paragrafo promette di fare dello yuan «una moneta liberamente commerciabile e pienamente convertibile» entro il 2020. Tempi brevi per la mentalità cinese abituata a misurarsi con lo scorrere dei secoli.
Ma dopo aver aperto la porta del salotto buono con la benedizione della direttrice Christine Lagarde, il Fmi avverte che la Cina deve migliorare ancora la trasparenza del suo regime di cambi. Ha spiegato Siddarth Tiwari, direttore Strategia e Politica del Fondo: «L’inclusione del renminbi nel paniere dei diritti speciali di riserva è una pietra miliare nel processo di integrazione finanziaria della Cina, ma ora il Fmi si aspetta che le riforme continuino e le autorità di Pechino migliorino la comunicazione della composizione delle loro riserve, raggiungendo una copertura informativa completa entro due o tre anni».
Le aspettative
Ci si aspetta anche che la Cina lavori con la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea per migliorare la qualità delle sue relazioni sui dati statistici del sistema finanziario. La Bri ha appena rilanciato l’allarme sulla «assuefazione» cinese al debito che minaccia il sistema bancario e l’economia: il differenziale tra ratio credito/Pil cinese è salito infatti a 30,1. Sopra quota 10 le statistiche storiche dicono che una crisi si verificherà entro tre anni. «Ci sono responsabilità connesse con l’inclusione del renminbi tra le valute di riserva», ha concluso Tiwari.
L’ascesa della moneta rossa potrebbe mettere al riparo l’economia globalizzata dalle fasi cicliche della politica economica americana e del suo biglietto verde, ma prima Xi Jinping e compagni dovranno dimostrarsi partner responsabili, sul fronte del debito, della liquidità del mercato interno, della libera circolazione dei capitali.