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 2016  settembre 26 Lunedì calendario

Gli svizzeri votano contro i 62mila italiani che ogni giorno attraversano la frontiera per lavorare

«È l’ultimo tassello di un’escalation contro i frontalieri che da anni non conosce tregua». A preoccupare Alessandro Tarpini, responsabile frontalieri della Cgil, è però più il clima che le conseguenze pratiche: «Non credo che per i nostri lavoratori cambierà molto, anche perché il risultato del voto è di difficile applicazione». Sia chiaro, quello votato ieri non è un referendum. «Prima i nostri» – ovvero la «preferenza indigena» nelle assunzioni – è una iniziativa popolare costituzionale, su cui il Consiglio di Stato, ovvero il governo di Bellinzona, già mette le mani avanti: assicura il «massimo impegno» ma ricorda «i problemi di applicazione a livello cantonale» a causa di «un problema di armonizzazione» con le leggi federali che «il nostro Cantone è tenuto a rispettare». Insomma, un bel caos.
Se l’iniziativa dell’Udc, con l’appoggio della Lega dei Ticinesi, si può ridurre a uno strumento di propaganda politica (senza nemmeno dimenticare che ha votato solo il 45% degli aventi diritto) è un segnale forte della pancia degli svizzeri che guardano con crescente insofferenza la colonna di automobili targate per lo più Como e Varese che oggi mattina attraversa i valichi di frontiera. È un esercito di 62.179 persone stando all’ultimo aggiornamento dell’ufficio di statistica di Bellinzona. Un dato pressoché stabile da due anni ma che ha avuto un’impennata nell’ultimo decennio di oltre il 65%. Basti pensare che all’inizio del 2007, prima che il mondo, e l’Italia, si infilassero nella più grande crisi dalla Grande Depressione del 1929, in Canton Ticino arrivavano a 39 mila. Oggi il 26,7% degli occupati a Lugano e circondario ha passaporto italiano. In 16 mila sono impiegati in attività manifatturiere, in 38 mila lavorano nel terziario, soprattutto nel commercio (10.700 addetti). In buona parte sono uomini (38 mila) ma avanzano anche le donne, arrivate a sfiorare le 24 mila. Rispetto al passato la manodopera che passa la frontiera si è raffinata. «Da qualche tempo assistiamo anche a una fuga di cervelli verso la Svizzera. Non vanno più solo i manovali di un tempo, ma anche professionisti qualificati in ambito bancario, dei servizi, nella sanità», racconta Luisa Seveso, delle Acli di Como, molto impegnata sul fronte dei frontalieri. E questo ha contribuito ad alzare l’insofferenza della popolazione ticinese che già due anni fa aveva votato un’altra consultazione contro l’immigrazione di massa, voto che – come quello di ieri – ha avuto vasta eco ma effetti nulli. Oggi ci si riprova con i lavoratori italiani. «La maggior parte arriva da Varese (30 mila) e Como (circa 28 mila), il resto da Sondrio e dal Verbano-Cusio-Ossola», dice Tarpini. E c’è un paradosso: il voto popolare arriva due anni dopo il «Progetto Copernico» con cui il Cantone di lingua italiana nel 2014 faceva «promozione esterna per l’insediamento di nuove aziende estere». Insomma, invitavano le imprese italiane ad andare da loro, in Ticino, dove – si sottolineava nelle brochure – l’aliquota Iva raggiungeva l’8%, mentre la tassazione per le «società anonime» non superava il 20%. Un piccolo paradiso.
Poi quelle aziende che si sono fiondate oltreconfine, spesso, hanno chiamato lavoratori italiani a lavorare contando sul fatto che se in Svizzera lo stipendio minimo per vivere si aggira attorno a 3500 franchi (3200 euro) un italiano può accontentarsi anche di cifre più basse. Lo sanno gli imprenditori italiani e lo sanno gli imprenditori svizzeri. «Ti dicono: “O accetti di meno, o te ne puoi stare a casa”. L’ultimo caso che mi è capitato è dell’altro giorno, un disegnatore industriale demansionato da un giorno all’altro», racconta Seveso. Non importa così se il tasso di disoccupazione a Lugano e dintorni sia al 3,1% (dato di agosto). Gli svizzeri, nell’epoca in cui il segreto bancario scricchiola e anche la politica della Banca centrale sul Franco ha invertito il turismo dello shopping verso l’Italia, hanno più paura. E la politica la stuzzica individuando un nuovo, vecchio, carissimo nemico: gli italiani.