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 2016  settembre 26 Lunedì calendario

In morte del principe Carlo Giovannelli

Maria Lombardi per Il Messaggero
Il principe Carlo Giovanelli c’era sempre. In prima fila o dietro le quinte, di passaggio o al centro della scena, lui c’era, con quel suo garbo antico. A ogni appuntamento aristo-benefico-mondano a Roma lui c’era, da maestro del saper vivere. «Un tempo riuscivo a partecipare anche a sette, otto eventi a serata», raccontava il signore dei salotti – morto ieri a Roma all’età di 74 anni per le complicazioni di una malattia – quando ormai le forze non gli permettevano più di correre da un ricevimento a un vernissage. E forse pensava anche che non ne valesse più la pena. «Si sono persi stile, classe, educazione. C’è il rischio di trovarsi accanto a persone non raccomandabili. Tutti vanno dappertutto e la gente che conta non si fa più vedere in giro».
LA CURIOSITÀ
E dire che fino a qualche anno fa non c’era party, cocktail, ballo, concerto, anteprima, vernissage, matrimonio, funerale o battesimo che non lo vedesse tra i presenti. «Il fatto è che sono curioso, mi diverto a conoscere gente nuova». Al principe che del suo titolo aveva fatto uno stile di vita non interessava farsi vedere, ma vedere. Scoprire novità, annusare tendenze, inseguire bellezza e talenti, assecondare le mode mondane senza lasciarsi contaminare. E se Roma cambiava intorno a lui, Carlo Giovanelli restava principescamente identico a se stesso. Perché questa per lui era una missione. «Il principe deve essere un esempio, non può basarsi sulle glorie passate. Deve essere una persona che con la sua simpatia, disponibilità, modestia e semplicità deve farsi riconoscere. E la gente deve dire di lui: questo è un signore».
Di Carlo Giovanelli lo dicevano tutti. Era nato in un albergo di via Veneto il 14 gennaio del 1942, erede del nobile casato originario di Gandino nel bergamasco, imparentato con il patriarca di Venezia e due pontefici, Innocenzo Odescalchi e papa Albani. Si racconta che il bisnonno Giuseppe viaggiando da Bergamo a Venezia attraversava solo suoi possedimenti, e il nonno Alberto, sposo di Marianna Serego Alighieri (discendente di Dante) possedeva una delle collezioni private più importanti d’Europa (tra tante opere anche «La Tempesta» del Giorgione). Poi la famiglia si era trasferita a Roma e aveva affittato il Palazzo del Drago (a una loro festa si sono conosciuti Edda Mussolini e Galeazzo Ciano). «La finestra da cui mi sono sempre affacciato per osservare il mondo è quella di un palazzo signorile», lui lo diceva con leggerezza, senza vanto, sapendo bene che non era cosa di cui andare fieri. «Mio padre mi ha insegnato che bisogna quasi farsi perdonare di essere nati con i privilegi che altri non hanno. E io so stare negli ambienti reali come in quelli sportivi e semplici. Mi piacciono le persone».
IL LIBRO
A 16 anni indossava per la prima volta il frac per danzare la quadriglia al ballo offerto nel suo palazzo accanto al Quirinale dalla principessa Pallavicini. Nel 1966 aveva sposato Elettra Maria Elena Anna, figlia di Guglielmo Marconi da cui aveva avuto un figlio, Guglielmo Giovanelli Marconi. Abile conversatore, immancabile commentatore nei talk-show di etichette, nobiltà e matrimoni blasonati, il principe scriveva anche. E la presentazione in Campidoglio del suo libro «Il debuttante», scritto usando i diari di sua nonna Marianna, fu ovviamente un evento super mondano. Unico nobile italiano invitato al matrimonio del principe Carlo con Diana, il principe era amico della Callas come della Marzotto, ai tempi della Dolce Vita che aveva attraversato con la sua smania di esserci senza troppo farsi notare frequentava Jacqueline Kennedy, era stato spesso ospite del petroliere Niarchos a bordo dell’Atlantique. Con lui se ne va un’epoca e uno stile, i funerali si terranno mercoledì nella chiesa di San Carlo al Corso.

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Camilla Mozzetti per Il Messaggero
Non c’era festa, vernissage, inaugurazione a Roma che non contemplasse la sua presenza. Discreta e burlona. Mai irriverente. Mai provocatoria. Sempre equilibrata. L’importante non era tanto farsi notare, quanto cogliere le occasioni di incontro per scoprire qualcosa di nuovo, di creativo. Che desse modo di innescare ragionamenti e riflessioni sulle mutazioni culturali e sociali di una città e di una nazione intera. Ed ecco che il principe Carlo Giovanelli, scomparso ieri a 74 anni nella sua casa romana in seguito alle complicanze di una malattia, non perdeva mai occasione per immergersi nel turbinio della mondanità e della cultura.
NOBILE TRASVERSALE
Che fossero i migliori concerti di musica classica, le prime del teatro Costanzi, le anteprime cinematografiche più appetitose o i ricevimenti più blasonati a destare la sua curiosità, Giovanelli sapeva districarsi come un istrione tra i salotti dell’aristocrazia romana e le performance più avveniristiche degli artisti contemporanei. Figlio del suo tempo, quello della Dolce Vita, della Roma che brillava tra via Veneto e via dei Condotti, ha sempre calcato ogni epoca e ogni richiamo della città con passo felpato e il garbo di un signore d’altri tempi. Vi era abituato fin da ragazzino. Fin da quando, a 16 anni, fece il suo debutto in società indossando per la prima volta il frac per danzare al ballo offerto nel suo palazzo accanto al Quirinale dalla principessa Pallavicini. Ecco allora che la sua figura, sottolineata da abiti sartoriali e cravatte di sete monocromo, spiccava tanto nelle presentazioni dei libri di cucina, quanto nei salotti rosa televisivi pronto a commentare ogni matrimonio, ogni battesimo. Finanche i funerali. Immancabile protagonista delle serate della nobiltà romana e dei vernissage più ghiotti che le gallerie del Centro offrivano. Invitato sempre. E da tutti. Amato e stimato in modo trasversale da ogni ambiente. «Perché è simpatico - ha detto di lui la contessa Patrizia De Blanck - conosce tutti e racconta gustosissimi gossip». Senza però mai cadere nella scurrilità o nella volgarità.
LA SUA ROMA
Marito di Elettra Marconi, la figlia di Guglielmo, non si è mai tirato indietro di fronte a un solo evento artistico-benefico-mondano. E questo perché, come lui stesso ricordava, «il principe (titolo a cui teneva moltissimo) deve essere una persona che con la sua condotta, con la sua semplicità e con la sua simpatia verso tutto e verso tutti, si mostri come un simbolo per gli altri». Delle novità faceva tesoro e non soltanto per piacere personale. Abile intrattenitore e affabile commentatore delle vicissitudini più o meno galanti riservate a una fetta della società romana, mise in pratica anche quella che riteneva essere una sua abilità: lo scrivere. In molti ancora ricordano lo sfarzo in Campidoglio per la presentazione del suo libro Il Debuttante a cui, per ovvie ragioni, accorse tutto il gotha della Capitale. Il principe Giovanelli, in gioventù, affiancò in veste di sceneggiatore anche Alberto Sordi. Fu tanto amico di Marta Marzotto quanto di Maria Callas, profondo amante di una Roma ormai tramontata, che ricordava con nostalgia, ed era solito trascorrere le poche serate libere all’Harry’s bar di via Veneto. Ed è stato uno tra i pochi nobili italiani ad avere libero accesso nei ricevimenti e nelle ricorrenze della famiglia reale britannica. L’unico invitato al matrimonio del principe Carlo e Diana. Nelle grazie anche della nuova dinastia capeggiata dal principe William e dalla duchessa di Cambridge, Kate Middleton.

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Paolo Conti per il Corriere della Sera
Addio a Carlo Giovanelli, re dei presenzialisti e principe di antica nobiltà, morto ieri a Roma a 74 anni. È stato forse il personaggio delle notti e dei salotti di Roma in assoluto più fotografato nella storia della monda-nità capitolina. La sua apparizione certificava automaticamente il rango di un evento: se c’era lui, era importante, o perlo-meno divertente. E non c’era genere al quale si sottraesse: matrimoni, mostre d’arte, ovviamente cerimonie religiose, presentazioni di libri, cocktail in ambasciate o in case private, festival cinematografici, premi letterari, naturalmente funerali, inaugurazioni, feste campestri estive. Lui c’era «sempre», pronto a saltare, nella stessa serata, da una cena a un ricevi-mento, o nella stessa domenica tra più matri-moni. Il suo esordio in società, come raccontò nel libro di memorie Il debuttante , risale al 1958, al gran ballo a palazzo Rospigliosi Pallavicini, dove il sedicenne Carlo fu «presentato» dai genitori Giuseppe e Giulia in tempo per attraversare lietamente la Dolce Vita e le sue notti. Fu durante quel ballo, lui lo raccontava spesso, che Alberto del Belgio cominciò a corteggiare Paola Ruffo di Calabria. Da allora, Carlo Giovanelli non ha mai smesso di «apparire», sempre rigorosamente in blu e cravatta sobria, una divisa d’ordinanza, col perenne sorriso e l’aria trasognata e un po’ vaga. Salutava sempre tutti perché conosceva tutti, e non è un modo di dire. Di tanto materiale, fece per anni un lavoro, firmando una rubrica di mondanità intitolata Tevere blu, prima su Il Tempo e poi su Il Giornale . Era anche Commendatore del Sacro Militare Ordine Costan-tiniano di S. Giorgio e Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Sposò Elettra Marconi, figlia di Guglielmo, da cui ebbe il figlio Guglielmo. Ma fu un’unione brevissima e i due, quando fatalmente si incrociavano a un evento mondano capitolino, si limitavamo a un rapido, civile saluto a distanza. «Presenziava» anche in trasferta, spesso a Milano ma anche a New York, magari in compagnia del suo vecchio amico Mario D’Urso, altro gran mondano. Da domani, senza di lui, sarà impossibile capire se il ricevimento è quello «giusto».