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 2016  settembre 26 Lunedì calendario

Le compagnie aeree sono diventate bravissime a vendere i servizi extra

Quelli di AirAsia dovrebbero entrare nel ramo delle polizze: nel 2015 hanno piazzato assicurazioni di viaggio per 21 milioni di dollari. L’americana Allegiant Air potrebbe iniziare a infastidire i siti delle prenotazioni alberghiere: l’anno passato ha venduto ai clienti oltre 452 mila giorni di permanenza nelle stanze d’hotel. Qatar Airways potrebbe insegnare ai negozi come vendere bene: secondo l’ultimo bilancio fiscale ha ricavato oltre mezzo miliardo di dollari dal «duty free».
In tutto questo, è ovvio, le tre compagnie continuano nel loro vero mestiere: far volare le persone. Alle quali, nel tempo, hanno iniziato a offrire diversi extra. Il noleggio dell’auto, la prenotazione dell’hotel, le assicurazioni, le carte di credito, le vendite a bordo, il supplemento bagagli, il check-in diversi giorni prima, gli imbarchi prioritari, la scelta del posto (prima fila o i sedili vicini alle uscite d’emergenza), l’intrattenimento a bordo, la connessione Wi-Fi, lo shopping, i giochi, i pasti. Per gli addetti ai lavori si chiamano «ancillary revenue» e sono quei ricavi diversi dalla vendita dei biglietti.
Un «tesoretto» che nel 2015 ha sfiorato i 40,5 miliardi di dollari (36 miliardi di euro), cioè quanto il Prodotto interno lordo della Lituania e più di quello della Giordania. Opzioni che a ogni passeggero sono costate in media 17 dollari. «Ed è calcolato soltanto su 67 società», pari a un quinto del totale mondiale, precisano Jay Sorensen e Eric Lucas che hanno pubblicato il dossier per conto della società specializzata IdeaWorks.
«C’è chi rimpiange i vecchi tempi in cui bastava comprare un biglietto per avere la certezza non solo del posto a sedere ma anche del bagaglio in stiva e di un buon pasto, ma la verità è che alle persone piace l’idea di pagare soltanto il volo, al prezzo più basso», dicono Sorensen e Lucas.
Lo «spezzettamento» del biglietto insomma funziona. Per i viaggiatori, che così possono volare, senza alcun tipo di servizio aggiuntivo, a costi ridottissimi. E per le compagnie, che riescono a ottimizzare sui collegamenti. Le cifre del fenomeno non sono sempre pubbliche. La maggior parte delle società le tiene nascoste. Una piccola porzione – circa il 20% – le distribuisce in centinaia di pagine di documenti fiscali, ogni tanto le rende note in comunicati stampa o interviste, qualche volta se le fa scappare. Risultato: trovarli, questi dati, è una missione quasi impossibile. Così Sorensen e Lucas hanno passato mesi a spulciare il materiale pubblico. Scoprendo che su 135 compagnie aeree in 67 hanno fornito qualche numero certo.
Nella classifica generale United batte tutte: nel 2015 alla voce «ancillary revenue» registra quasi 6,2 miliardi di dollari. Seguono gli altri due colossi americani dell’aviazione: American Airlines (4,7 miliardi) e Delta (3,7). La prima low cost è Southwest (2,1 miliardi) che fa meglio delle europee Ryanair (1,7 miliardi) ed easyJet (1,4 miliardi). Ma a livello pro capite sono le società «senza fronzoli» ad avere la meglio: ogni viaggiatore di Spirit sborsa poco meno di 52 dollari per volo in prodotti extra (dalla scelta del posto a sedere fino al bagaglio in stiva). In Wizz Air la media è di circa 33 dollari, che diventano 21 tra i passeggeri di easyJet e 16 tra quelli di Ryanair.
Il Corriere della Sera ha effettuato diverse prove di acquisto, con low cost e «tradizionali». Su diverse tratte comprare le opzioni extra tra i vettori a basso costo – 16 euro per la scelta del posto, 40-80 euro per la valigia in più, 10 euro per accedere velocemente ai controlli – si traduce in un aumento del prezzo finale anche del 300-400 per cento. Un po’ meno, a parità di data e tratta, per le compagnie «tradizionali». Che nei prossimi mesi somiglieranno sempre più alle low cost nei servizi di base: volo a tariffe ridotte sì, ma tutto il resto si pagherà.