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 2016  settembre 25 Domenica calendario

Ciampi e il Britannia

Nell’intervista sul Corriere del 17 settembre, Amato ricorda Ciampi e, tra l’altro, l’estate del ‘92 quando l’Italia svalutò la lira. Dice Amato che un venerdì (era l’11 settembre) «la Bundesbank comunicò all’improvviso che non avrebbe più scambiato marchi con lire». Per cui il lunedì 14 svalutarono.Se la memoria non mi tradisce, quell’episodio rappresentò un clamoroso errore delle nostre istituzioni. Sbagliò Amato, capo dell’esecutivo, a voler difendere a lungo la nostra moneta tanto strenuamente quanto inutilmente, laddove tutti avevano capito che comunque si doveva arrivare alla svalutazione. Sbagliò Ciampi, governatore della Banca d’Italia e quindi sommo custode della lira, a tenergli bordone per giorni, bruciando miliardi e miliardi di riserve. Sbagliarono infine entrambi nel preannunciare come catastrofica la svalutazione che invece, come noto, si rivelò molto salutare. Popper ha detto che «grandi uomini commettono grandi errori».
Sergio Abbaticola, Milano
Lei ha espresso più volte apprezzabili opinioni sull’operato del presidente Ciampi, non risparmiando tuttavia qualche critica. Sull’uomo e sulla sua statura morale non trovo nulla da eccepire; trovo invece discutibili alcune scelte, tra cui le decisioni prese sul Britannia nel 1992: un’occasione per «svendere» la nostra moneta.
Piero Campomenosi pierocampomenosi@libero.it Cari lettori,
L a breve gita mediterranea del Britannia, a cui questa pagina ha dedicato altre lettere e risposte, fu nel giugno del 1992: mentre la svalutazione della lira fu annunciata nel settembre dello stesso anno. I due avvenimenti ebbero luogo rispettivamente alla fine del governo Andreotti e nella prima fase del governo Amato, ma sono legati da una stessa logica. Nell’economia italiana i segnali d’allarme erano sempre più numerosi. Il debito pubblico aveva toccato il 105 % del Pil (Prodotto interno lordo) e il deficit era ormai superiore al 10%. Quasi tutte le industrie delle grandi holding statali, dall’Iri all’Efim, sopravvivevano grazie a generose iniezioni di denaro pubblico che la Commissione europea considerava incompatibili con i principi del Trattato di Maastricht. Altri Paesi nel frattempo, dagli Stati Uniti di Ronald Reagan alla Gran Bretagna di Margaret Thatcher, avevano coraggiosamente imboccato la strada delle privatizzazioni. Un anno dopo, nel 1993, Beniamino Andreatta, ministro del Bilancio e della Programmazione economica, avrebbe concluso un accordo con il commissario europeo Karel van Miert per la riforma di un sistema che si era dimostrato doppiamente fallimentare: per l’uso incontrollato del denaro pubblico e per il pericoloso coinvolgimento dei partiti nella gestione della industria statale.
La privatizzazione, tuttavia, richiedeva regole di mercato con cui l’Italia di allora aveva scarsa familiarità. L’incontro sul Britannia con la finanza internazionale servì a rendere note le intenzioni del governo italiano e a stabilire i primi contatti. La favola dei «poteri forti» (che ancora circola sulla Rete) fu diffusa da quei settori della società politica italiana che nascondevano sotto la maschera del patriottismo la loro ostilità a ogni riforma che li avrebbe privati del diritto di mettere le mani sul denaro pubblico.
La crisi del settembre 1992, invece, fu anzitutto una crisi della sterlina e cominciò quando George Soros dette il via a una massiccia vendita allo scoperto della valuta britannica che ebbe l’effetto di coinvolgere nella crisi altre due monete deboli del Sistema monetario internazionale: la lira e il franco francese. D’intesa con il governo, la Banca d’Italia impiegò una buona parte delle sue riserve nel tentativo di scoraggiare la svalutazione e sperò di essere aiutata, in questa operazione, dalla Banca centrale tedesca. Ma la Bundesbank aiutò la Francia, con cui aveva assunto un esplicito impegno, e lasciò la lira alla sua sorte. Ma non sarebbe giusto, caro Abbaticola, sostenere che si trattò di uno sbaglio. Ciampi non voleva la svalutazione perché temeva con ragione che, pur favorendo le esportazioni italiane, avrebbe ritardato quella modernizzazione del nostro sistema industriale che era ormai una delle maggiori priorità nazionali. Era una preoccupazione legittima che torna a suo onore.