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 2016  settembre 25 Domenica calendario

Il giorno che alla Stampa sparirono le linotype

In una notte
La Stampa
sostituì Gutenberg con il computer. Da mesi il piombo della composizione «a caldo» veniva gradualmente sostituito con le strisce di carta della composizione «a freddo» governata dall’elaboratore elettronico. Ma quella notte di lunedì 16 ottobre 1978 le linotype del nostro giornale batterono l’ultima notizia – il cardinale polacco Karol Wojtyla eletto Papa – e si fermarono per sempre. Dal giorno dopo
La Stampa
si collocava all’avanguardia dei quotidiani europei protagonisti d’una rivoluzione tecnologica non ancora finita.

Come su una nave
Fu difficile abituarsi al silenzio delle linotype. Il sommesso sferragliare che le annunciava lungo il corridoio verso la tipografia, spalancata la porta, diventava un’ondata di suoni. Nelle ore cruciali erano trentasette le linotype in azione. Sessantanove linotipisti coprivano i turni di La Stampa e Stampa Sera. Sembrava la sala macchine di una nave. Il lavoro si faceva frenetico nei momenti risolutivi, quando linotipisti, compositori di titoli a mano, impaginatori, correttori, redattori tutti insieme davano il massimo di efficienza, precisione e rapidità perché le migliaia di righe di piombo diventate pagine, poi cilindri, s’innestassero nella giostra turbinosa delle rotative e stampassero il giornale in tempo.
Chi oggi si sente padrone del tempo e con la sua tastierina elettronica in pugno si crede «veloce» non immagina a quale velocità si lottasse con l’orologio – nervi, braccia, dita, gambe – per le ultime tre righe di piombo roventi che il linotipista ti metteva in mano avvolte in una striscia di carta bagnata per non ustionarti. Le passavi rapido all’impaginatore perché le collocasse nel varco giusto, serrasse con due colpi la balestra e gridasse: «Nero e bianco!».
La bozza
Era la mèta conquistata: il precipitoso arrivo del rullo nero gocciolante d’inchiostro, del foglio di carta umida, del secondo rullo bianco, pulito. Era finalmente la bozza. Tipografi, redattori, correttori vi si accanivano in caccia di un refuso, sperando di non trovarlo e poter prima possibile dare il «Via!» e mandare la pagina al definitivo passaggio nel fuoco.
Inchiostro dappertutto
Tra i linotipisti e gli impaginatori, in camice nero, ditate d’inchiostro sulle guance come gli indiani dei film western, c’erano tanti Faussone – l’operaio specializzato protagonista della Chiave a stella di Primo Levi – orgogliosi del lavoro ben fatto. E pronti a darti un consiglio perché lo facessi bene anche tu. «Guarda il viso del proto quando gli porti il titolo più importante della prima pagina», diceva il direttore Alberto Ronchey. «Se fa una smorfia, riportalo e lo rifacciamo».
Nessuna nostalgia di neri banconi, carrelli, telai, caratteri mobili, pacchi di righe di piombo legati con lo spago, cliché di zinco e tagliatrici per rifilarli. Ma nostalgia dei tipografi, gergo, gesti, rituali. Nostalgia delle loro osservazioni, della loro esperienza di estremi allievi di Gutenberg, che ci rimbrottavano come il Grillo Parlante. Il computer non rimbrotta i giornalisti. Purtroppo qualche volta si vede.