MilanoFinanza, 23 settembre 2016
Quanto costa la flessibilità?
Manca non molto tempo alla pubblicazione della nota di aggiornamento del Def e, a giorni alterni, le cronache riportano dichiarazioni e opinioni di esponenti comunitari sulla flessibilità nell’applicazione delle norme sui conti pubblici. Il ricorso a essa, per l’Italia, non appare evitabile se si pensa, per il prossimo anno, a un rapporto deficit-Pil tra il 2,2 e il 2,4%, nettamente superiore a quello previsto dagli obiettivi di medio termine. Ieri il Bollettino Economico della Bce ha riproposto la descrizione delle misure adottate dal Consiglio direttivo dell’8 settembre, ricordando che i comitati competenti dell’Istituto sono stati incaricati di valutare le possibili opzioni allo scopo di assicurare l’ordinata attuazione del programma di acquisto di attività – il cosiddetto Quantitative Easing – da parte dell’Eurosistema.
La decisione, adottata mercoledì scorso dalla Banca del Giappone, di sviluppare il proprio Qe incidendo sulla curva dei rendimenti dei titoli pubblici e bloccando a zero quello dei titoli decennali, mentre nel contempo ha ribadito l’impegno nel proseguire sulla strada dell’espansione monetaria fino a quando l’inflazione non supererà il livello del 2%, potrebbe costituire una scelta su cui riflettere da parte della Bce, pur dando atto della diversità dei rispettivi contesti; e ciò se non altro per la capacità di progettare interessanti varianti di misure non convenzionali.
Benché, da un altro versante, quello della Fed, sia stata ancora rinviata una decisione che, se assunta, avrebbe rappresentato un fattore di maggiore chiarezza del contesto globale, utile per la Bce, tuttavia non è pensabile che quest’ultima abbia bisogno ancora di molti altri mesi per decidere quali altri strumenti adoperare al fine di fare risalire l’inflazione ai livelli inferiori ma prossimi al 2%, dai quali ora è lontanissima.
Il mantenimento della stabilità dei prezzi, anche se visto in un’ottica di medio termine, impone di agire, considerato che ai livelli anzidetti l’inflazione si avvicinerà all’obiettivo solo nel 2018, secondo le stime della stessa Banca centrale, e forse, compiutamente, solo nel 2019. Viene riferito che l’Istituto ha promosso, con la collaborazione dei governatori delle banche centrali nazionali, un’analisi delle riforme introdotte dai diversi Paesi e dei loro effetti: è un elemento importante di conoscenza ai fini del governo della moneta. Ma poi, compiuti questi studi e valutazioni, occorrerà agire.
Abbiamo sempre ricordato che la politica monetaria non può tutto, ma può molto. Detto ciò, e rilevato il tassello ancora mancante di un necessario ulteriore intervento non convenzionale della Bce, è sperabile che nei prossimi giorni si possa sapere con chiarezza quale sia l’ammontare delle risorse che, ai fini della non lontana prossima legge di Stabilità, il governo pensa di impegnare (0,4 – 0,5% nel richiamato rapporto?) facendo ricorso al riconoscimento in sede europea della flessibilità, secondo le note causali, ivi compresi anche gli interventi per l’emergenza causata dal terremoto e per la ricostruzione. Perché se, invece, non si ritenesse di fare ricorso alla flessibilità in questione – a eccezione degli interventi causati dal terremoto – allora occorrerebbe chiarire come si riesca a mantenere il deficit, in presenza di una necessaria revisione della crescita al ribasso, entro i limiti prescritti dell’Unione per il prossimo anno, e come si operi per rispettare la regola del debito, rispetto già oggetto di due rinvii.
In teoria, sarebbe anche possibile non negoziare alcunché con Bruxelles (anche se non credo che questa sarà la linea che verrà seguita) e poi, semmai, attendere gli eventuali rilievi della Commissione per controdedurre. Ma se ciò non è stato fatto neppure nelle situazioni in cui l’Italia era chiaramente dalla parte della ragione – si veda la vicenda dell’impiego delle risorse «private» del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi per il salvataggio delle note quattro banche in dissesto, che la Commissione riteneva, invece, essere un intervento pubblico – a maggior ragione è immaginabile che non si tratterà della strada che sarà percorsa.
Dunque, è legittimo attendersi in questi giorni un quadro di maggiore trasparenza, mentre opportunamente si pensa negli ambienti governativi al rilancio degli investimenti e a misure volte a migliorare la produttività. Si dovranno però conoscere il dare e l’avere, anche per evitare facili entusiasmi che, in ogni caso, dato l’alto livello del debito e la mancanza, per ora, di un organico e forte programma di tagli di spesa – sono per definizione sconsigliabili.