Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 23 Venerdì calendario

La fabbrica che realizza le protesi di Alex Zanardi

Mani bioniche capaci di compiere fino a 36 movimenti e tatuaggi disegnati su eleganti caviglie in resina; polpacci con migliaia di peli attaccati uno a uno e sofisticate ginocchia a controllo elettronico programmate per rendere possibili i movimenti quotidiani; lamine in fibra di carbonio su cui correre per battere ogni record e un alluce, tozzo e abbronzato, che un bagnino ha chiesto per starsene in spiaggia libero dall’imbarazzo dell’amputazione subita. «Ogni paziente è una storia e ogni protesi è parte di questa storia. Qui nessuno dice “Alzati e cammina”, la persona viene accolta da un’équipe di diverse professionalità, ascoltata, studiata e accompagnata nella riabilitazione; fino a insegnarle, passo dopo passo, a camminare nuovamente». Nelle parole dell’ing. Gennaro Verni, 64 anni, direttore tecnico di produzione c’è tutta la filosofia del Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio. Una struttura pubblica fondata nel 1961 nelle campagne di Bologna e meta oggi di oltre 6500 pazienti all’anno che tra i laboratori e le palestre cercano arti, ausili e stimoli per riappropriarsi della propria indipendenza. Qui, dopo gli infortuni e le malattie, hanno preso confidenza con gambe e braccia artificiali campioni come Alex Zanardi, Bebe Vio e Giusy Versace, e qui a tutti viene data la possibilità di cimentarsi in uno sport per favorire le relazioni sociali. Trecento dipendenti, ottomila protesi fabbricate in dodici mesi, innovativi progetti in collaborazione con università e poli scientifici tra i quali l’Istituto Italiano di Tecnologia, il Campus Bio-Medico di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e la stretta partnership con il Comitato Paralimpico Italiano. E da questo connubio di alta specializzazione e raffinata artigianalità sono nate alcune delle medaglie ai recenti Giochi di Rio, come l’oro nei 100 metri e l’argento nel salto in lungo di Martina Caironi o il bronzo, sempre nei 100 metri, di Monica Contraffatto. «A noi interessa che le persone possano deambulare nel migliori dei modi – precisa l’ing. Verni -. Se poi vogliono anche correre siamo felicissimi. I dispositivi e le tecnologie le mettiamo al servizio degli atleti. Poi sta al loro talento e alla bravura dei nostri tecnici ottimizzarli». Ed è quello che succede in questa sorta di «Officina dei campioni», dove con intelligenza, esperienza e intuito si cerca di trovare le geometrie e i materiali più adatti per assemblare i vari componenti della protesi: lamine, ginocchio e invasatura. «Quello che fa davvero la differenza è l’invasatura, ovvero la parte in cui entra il moncone: un pezzo unico e personalizzato, creato su misura con estrema precisione. Deve essere avvolgente e resistente, elastico e capace di lasciare al moncone lo spazio per imprimere ritmo e forza alla corsa». In attesa del ritorno dei propri campioni da festeggiare, le giornate all’interno del Centro seguono la routine di sempre: pazienti che entrano con valigie cariche di speranze e altri che escono zoppicando su nuove gambe, mentre nei reparti si lavora sodo con gesso e apparecchiature elettroniche, silicone e pennello, lettori laser e robotica. «Sono molto comodo, siete sicuri però che con il calore della gamba non si sciolga vero?», chiede scherzando Carmelo, camminando con sicurezza e orgoglio per il corridoio: a lui il compito, e l’onore, di farsi il primo giro con il prototipo di un’invasatura interamente realizzata con una stampante 3D. «La soddisfazione più grande – spiega il dott. Carlo Biasco, 50 anni Direttore generale del Centro – è vedere la gente uscire con il sorriso: in tanti arrivano depressi o che quasi si vergognano della loro situazione e invece se ne vanno con la certezza che la vita può continuare». E lo sguardo, sereno e intenso di Carmelo, vale più di mille trofei: non parteciperà a nessuna Paralimpiade, ma la sua sfida con il destino l’ha già vinta.