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 2016  settembre 23 Venerdì calendario

Ci sono già quattro candidati alla successione di Visco. Ma non è un po’ troppo presto?

Dopo i tanti discorsi che si sono sentiti e letti sulla Banca d’Italia, e sul suo fondamentale ruolo, in occasione della scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi, iniziano ora ad affiorare voci e movimenti sottotraccia, registrati per la verità già da un po’ di tempo, che guardano con un enorme anticipo al termine del primo mandato del governatore Ignazio Visco, fissato per ottobre del prossimo anno. Ma l’aspetto sbalorditivo è che viene fatto riferimento a «candidature» per il vertice di Via Nazionale (o, meglio, ad autocandidature) da parte di un quartetto di nomi candidati a tutto: in questo periodo, vuoi in forza di vere o presunte aderenze politico-partitiche, vuoi per altrettanto vere o presunte sponsorizzazioni di banche di affari, candidati pure alla presidenza del Monte dei Paschi.
Recentissimamente viene aggiunto nella rosa anche il ministro Pier Carlo Padoan, dimenticando che, ove mai sussistesse una tale aspirazione – e si dubita fortemente che ciò sia fondato -, la pur debole legge sul conflitto di interessi gli impedirebbe comunque, senza possibilità di deroga alcuna (a meno di una clamorosa modifica ad personam della legge), di passare da Via XX Settembre a Via Nazionale. Ma, ripeto, il dubbio coincide con l’incredulità. Il venire a galla di propositi e aspirazioni personali o di suggeritori rischia però di creare un clima e un contesto non certo favorevole all’impegnativo lavoro della Banca d’Italia. Sarebbe opportuna un’autolimitazione per riprendere l’argomento in un periodo ravvicinato alla scadenza: naturalmente ciò è facile a dirsi ma – ci si rende conto – molto difficile ad attuarsi.
Tuttavia sarebbe una scelta di buon senso e di coerenza con il doveroso rispetto istituzionale e l’attenzione agli interessi generali. È però significativo che le vociferazioni sulle presunte e assolutamente intempestive «candidature» investono oggi soggetti già proposti e bocciati nella tornata in cui – alla fine di un percorso nato male e sviluppatosi peggio – ci si rese conto dal governo dell’epoca, con un sussulto, dell’insostenibilità di simili indicazioni ai fini della sostituzione di Mario Draghi e fu compiuta la scelta valida e rigorosa di Visco. Fu di grande rilevanza allora il ruolo svolto dal capo dello Stato, il quale, coerentemente con le norme che conferiscono alla carica l’emanazione dell’atto conclusivo di nomina non come una mera formalità o come la firma di un provvedimento di cui il vertice dello Stato non assume la responsabilità, seguì passo passo lo svolgimento della vicenda che approdò a una conclusione diffusamente apprezzata.
Contribuì anche la posizione del consiglio superiore della Banca, al quale spetta l’espressione di un parere obbligatorio sulla proposta di nomina, che poi viene formalmente sottoposta al Consiglio dei ministri. È facilmente prevedibile che cosa accadrebbe se il consiglio superiore – come accadde allora in occasione della circolazione di proposte chiaramente insostenibili ai fini della sostituzione di Draghi, allorché l’organo fece intendere la propria contrarietà anche con la minaccia delle dimissioni dei componenti – esprimesse un parere contrario, naturalmente ben motivato, nei confronti di una candidatura. Ma stupisce che nell’affiorare di fuocherelli prima sotto la cenere non si consideri quello che dovrebbe essere il «prius» fisiologico di ogni pur avventato discorrere con così largo anticipo sul futuro della titolarità di una carica di vertice, cioè la soluzione interna all’Istituto di Via Nazionale e la riconferma nella carica ora ricoperta: una scelta che rafforza l’autonomia della Banca e quella che, appunto, deve essere la sua distanza (non mera separatezza) dalla politica, dall’economia e dalla finanza.
Le discussioni che si sono svolte soprattutto in questi ultimi tempi, le accuse molto spesso infondate rivolte a Palazzo Koch in altri casi (poiché vertenti su materie altamente tecniche, opinabili e controvertibili), la non adeguata conoscenza anche sulla stampa dei fini, dei caratteri e dei limiti della funzione di Vigilanza bancaria non hanno leso il prestigio e la credibilità della Banca d’Italia, innanzitutto a livello internazionale. Singole scelte possono essere condivise o discusse e criticate: ciò è anche il portato della trasparenza, della dialettica democratica, della frequente accountability nonché delle crescenti difficoltà dell’economia dovute a una crisi di portata superiore a quella degli anni ‘30. Errori possono essere commessi, ma essi non intaccano il tessuto di competenze, di valori e di dedizione caratteristico dell’Istituto e di chi oggi ne è il capo.
Non si può giustamente evocare il valore delle scelte interne che in un’epoca difficile portò alla guida dell’Istituto Carlo Azeglio Ciampi e poi dimenticare questa linea interna con le professionalità, le competenze e il rigore che rappresenta, quando ci si mette ai nastri di partenza per una sorta di competizione che dovrebbe avvenire fra un anno. La Banca d’Italia non è certo una municipalizzata da lottizzare facendola rientrare nello spoil system: sarebbe il colpo che manca per un deciso aggravamento della nostra situazione economica. Ci sono stile e una tradizione di Palazzo Koch che il quartetto dei presunti candidati, vogliamo credere «a loro insaputa» – tutti, tra l’altro, con fior di occupazioni in banche vigilate dalle quali non si dovrebbe mai poter approdare al soggetto vigilante – ben conoscono.