Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2016
Aleppo è in fiamme
Le alte fiamme che si sprigionano da quartieri orientali di Aleppo, illuminando la notte, ci riportano un’amara verità: in Siria la tregua pare irrimediabilmente finita. Ad Aleppo si sta consumando una tragedia che potrebbe presto assumere proporzioni difficili da immaginare. Anche ieri l’aviazione del regime siriano ha martellato i quartieri orientali. Quelli occupati dai ribelli, ma ormai sotto assedio. Per gli operatori umanitari quelle fiamme così alte non possono che essere una sola cosa: bombe incendiarie al fosforo.
Ne sono certi gli abitanti del quartiere di Bustan al-Qasr, dove una strada è stata distrutta dall’inizio alla fine. Dove hanno trovato una morte atroce almeno 13 persone (in tutta la città i morti sarebbero 50). E capita sempre più spesso che tra le vittime ci siano donne e bambini. A peggiorare le cose ieri è stata la volta degli elicotteri, che hanno sganciato i micidiali barili bomba.
Da diversi mesi la seconda città della Siria, un tempo il suo centro economico, non era martellata da bombardamenti così intensi e violenti. «È come se l’aviazione cercasse di recuperare tutti i giorni (della tregua) in cui non ha rovesciato le sue bombe», ha spiegato all’agenzia Reuters Ammar al-Selmo, il capo del team per il soccorso dei civili nell’area controllata dai ribelli. «Sono i bombardamenti aerei più pesanti da mesi sulla città di Aleppo», gli ha fatto eco da Londra Rami Abdulrahman, direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. L’opposizione di Assad parla di 150 raid in una sola notte.
Chi sono gli autori di questa escalation? I caccia russi, quelli del regime, o entrambi? Con ogni probabilità che le due aviazioni stiano stanno colpendo congiuntamente per cercare di infliggere il colpo finale ad Aleppo. È un messaggio chiaro: la proposta lanciata dal segretario di Stato americano John Kerry è stata respinta. Mercoledì sera Kerry aveva invitato Damasco e Mosca a lasciare a terra tutti gli aerei e creare una no fly zone per permettere ai convogli umanitari diretti in città di riprendere. Il giorno prima un lungo convoglio dell’Onu era stato distrutto. Damasco e Mosca avevano negato ogni responsabilità, l’Onu ha finora preferito attendere prima di pronunciarsi, gli Stati Uniti sono ormai sicuri: «Non ci sono dubbi nella mia mente che i russi siano i responsabili», ha commentato il generale Joe Dunford, presidente del Joint Chiefs of Staff.
Le risposte contraddittorie fornite dal Cremlino hanno contribuito ad alimentare il sospetto. Anche perché i ribelli non dispongono di alcun aereo. La no-fly zone non piace a Mosca. Servirebbe a poco, ha replicato il Cremlino. Teheran, alleata di Damasco e impegnata con le sue milizie nell’assedio di Aleppo, ha invece esplicitamente detto che una misura di questo tipo aiuterebbe l’Isis e il Fronte Nusra, potente movimento di ideologia qaedista. Sono invece molti i Paesi, tra cui l’Italia, a spingere per l’istituzione di una no-fly zone per tutti. «Si tratta di una proposta semplice e condivisibile che può dare una spinta verso una tregua duratura», ha spiegato da New York il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Eppure in questa guerra feroce, che ha già ucciso 270mila persone (in maggioranza civili), gli operatori umanitari stanno dando una dimostrazione di eroismo e di coraggio che poche volte si è vista. Sotto i continui bombardamenti, ieri sono ripresi i primi convogli Onu diretti in città.
I 300mila civili rimasti nei quartieri orientali sono allo stremo; senz’acqua, senza elettricità, il sistema fognario al collasso. Il cibo è sempre più difficile da trovare, e sempre più costoso. Lo stesso vale per i farmaci, quando si trovano. Gli ospedali sono stati decimati. Solo nei quartieri orientali già in luglio 8 ospedali su 10, e 13 cliniche di urgenza su 28 non erano più in funzione.
La città contesa è la posta in gioco più alta. Se il regime riuscisse a conquistarla porterebbe a casa il maggior successo militare mai ottenuto finora. Una vittoria anche simbolica che stroncherebbe ogni velleità dell’opposizione armata e metterebbe una seria ipoteca sulle sorti del conflitto. Ecco perché l’esercito del regime, appoggiato dall’aviazione russa e sul terreno dalle milizie iraniane e degli Hezbollah libanesi, sta cercando di guadagnare posizioni. Da fine agosto sono riusciti conquistare l’ultimo corridoio per i ribelli, cingendo d’assedio tutta la città.
Prima che si giunga ad un nuovo accordo – per ora improbabile – il regime vuole comunque consolidare la sua avanzata. Non esita dunque a ricorrere a pesantissimi bombardamenti. In questo clima di grande sfiducia il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov e il segretario di Stato americano John Kerry stanno lavorando per tornare a un accordo di tregua. Ma il durissimo scambio di accuse tra la Casa Bianca e il presidente siriano Assad non prelude a nulla di buono.