la Repubblica, 1 settembre 2016
Storia di una famiglia de L’Aquila, da sette anni in un prefabbricato
«Certo che lo ricordo, Ciccio Pasticcio. C’era anche il dottor Carota. Mi faceva ridere». Crystal aveva tre anni, sua sorella Asia quattro. La più grande confessa: «La mamma ci fa vedere le foto di allora, e così ci torna in mente tutto». Tenda numero 16, corsia numero 6, nella grande tendopoli di piazza d’Armi. Repubblica ha scritto per mesi e per anni il diario da quella tenda di trenta metri quadrati diventata la casa di tre famiglie.
Crystal quest’anno va in prima media, Asia in seconda. Dovrebbe essere il passato, il terremoto aquilano. E invece scopri che troppe ferite sono ancora aperte, e anche chi ha voluto e potuto dimenticare, con la grande scossa del 24 agosto è stato riafferrato dalla paura. Come dicono qui, non c’è più il prima e il dopo Cristo, ma il prima e dopo la scossa delle ore 3,32 del 6 aprile 2009. «Quando incontreremo i nuovi terremotati – dicono subito gli ex inquilini della tenda 16 – faremo loro coraggio. In questi giorni loro pensano che presto finirà tutto. Non li deluderemo, staremo zitti. Poveretti. Non sanno che il terremoto non è un tragico film ma una brutta telenovela che non finisce più. Non sanno quante tribolazioni li aspettano».
Via Milonia numero 29. «Ecco, questa era la mia casa. Non si può entrare». Rita Tichetti in Milani è la nonna di Crystal e Asia e la madre di Cristina e Fabiana. «Tutto come allora? No, è peggio». Sei appartamenti, negozi a piano terra. Scale rotte e staccate, muri spezzati. «Sono arrivati i ladri, tante volte. Prima hanno rubato le cose preziose, i miei anelli, il mio abito da sposa, le lenzuola ricamate… Poi hanno lavorato all’ingrosso: una volta è stato visto un camion e i ladri buttavano giù tutto dai balconi, dentro il cassone». A piano terra gli sciacalli hanno lasciato mobili spezzati, due estintori, videocassette di Last Action Hero, con Arnold Schwarzenegger. Nel balcone a fianco di quello dei Milani è rimasto solo un albero di Natale di plastica.
«Vede, dopo sette anni e mezzo per la mia casa non è stato deciso nulla. Non so se l’abbatteranno, se sarà ricostruita, se sarà tirata giù e basta. È una casa del Comune, a riscatto. Stavamo finendo le rate e adesso non so più se la casa sia ancora nostra. Nemmeno una lettera, mi hanno mandato. Vede, io sono nata in Belgio, mio padre era un emigrante. Sono nata in una baracca e forse morirò in una baracca. Il Map (modulo abitativo provvisorio) dove io e mio marito Claudio siamo da più di sei anni – a 14 chilometri da piazza del Duomo – in fondo è una baracca con tutti i servizi ma senza fondamenta. L’altra notte, con la scossa mi sembrava di morire».
Sono forti, le donne dell’Aquila. Nonna Rita racconta il suo dolore poi come tutti i giorni indossa una divisa della Misericordia, perché vuole «aiutare gli altri», e se chiamano è pronta a partire per Amatrice. La figlia Cristina è pronta a guidare una task force dell’Ordine degli psicologi nel nuovo terremoto. L’altra figlia, Fabiana, parrucchiera, fa parte della Napa, Nuova associazione parrucchieri aquilani, che è già impegnata nelle tendopoli del nuovo cratere. Tutti e tre i mariti, dopo il sisma, hanno perso il lavoro. «Il vero terremoto – raccontano Fabiana e il marito Eugenio – è quello che arriva dopo, quando lo stipendio della fabbrica sparisce e l’organizzazione della città si sfalda. Il negozio era pronto a maggio 2015 e siamo riusciti ad aprirlo a gennaio: mancava l’allacciamento al gas. E poi dà fastidio il fatto che tanti pensino che qui comunque siamo aiutati, con mutui, tasse tolte, ecc. Nel 2009, è vero, non abbiamo pagato tasse e bollette ma nel 2010 sì, e pure con gli interessi per il 2010, con rate fino al 2014. Ci è arrivata una bolletta di 7000 euro per il gas della nostra casa abbandonata. Abbiamo dovuto prendere un avvocato, per fare capire che una casa vuota non poteva avere registrato un consumo così alto. Abbiamo vinto il ricorso ma abbiamo comunque pagato 1200 euro per “ritardo nel distacco del contatore”. Quando scappi dalla casa che crolla dovresti ricordare di chiudere il contatore della luce, quello del gas… Riusciamo a vivere, grazie al cielo. Ma nostra figlia Maila, che adesso ha 21 anni, non può frequentare il Politecnico di Milano. Era il suo e nostro progetto. È iscritta all’Accademia dell’Aquila».
Il presidente dell’Ordine regionale psicologi, Tancredi Di Iullo, ha chiesto alla Protezione civile di inviare nel nuovo cratere un gruppo di psicologi anconetani coordinati da Cristina Milani. «Hanno vissuto sulla loro pelle il sisma del 2009 e questa esperienza è diventata competenza». «In questi giorni – racconta Cristina, che come la sorella Fabiana vive nella sua casa che non era stata troppo danneggiata – in tutti è tornata la paura. Essere mamme non è facile, ancor più in situazioni come queste. Ma sei soddisfatta nel vedere che Crystal e Asia sono cresciute bene, equilibrate. Poi arriva la scossa e ti sembra di avere un incubo. L’ora, le 3,36 della notte. La nostra arrivò alle 3,32. I muri che si scuotono, gli allarmi che suonano, i cani che abbaiano… Crystal è arrivata subito nel letto di noi genitori. Poi fuori, come allora. Adesso è più difficile raccontare il terremoto a bimbe di dieci e undici anni. Allora bastavano le favole. “C’è un mostro che abita sottoterra e ogni tanto fa ballare tutto. Non è cattivo, vuole solo essere accarezzato. Accarezzi l’erba con le mani ma anche con i piedi, mentre scappi via”. Sulla tenda avevamo un pupazzo del Lupo cattivo che mangia i terremoti».
Altri bambini, adesso, avranno bisogno di favole e del clown Ciccio Pasticcio. Asia e Crystal hanno riempito il baule dell’auto della mamma con giocattoli e peluche. «Li porteremo nelle tendopoli». La nonna Rita ringrazia Dio perché «comunque ho un letto e posso prepararmi un pasta». Accanto all’uscio c’è però una valigia sempre pronta, in caso di pericolo. «La nonna – raccontano le bimbe – dice che la valigia è sua. Ma noi abbiamo visto che dentro ci sono soltanto i nostri vestiti».