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 2016  agosto 30 Martedì calendario

L’Isis sa come produrre il gas mostarda e sa come usarlo. Vedi Iraq e Siria

L’Isis sa produrre armi chimiche, come l’iprite. Lo ha già fatto in Iraq e Siria, e potrebbe provarci anche altrove, per lanciare attentati. È il corollario più preoccupante del nuovo rapporto sull’uso degli agenti chimici nelle regioni controllate dal regime di Assad e dal Califfato, che gli ispettori dell’Onu presenteranno oggi al Palazzo di Vetro. Il testo sta già provocando nuove tensioni fra Usa e Russia, e l’attenzione ora si sposta sulle risposte che il Consiglio di Sicurezza potrà dare. 
Nell’agosto del 2013 le armi chimiche, in particolare il sarin, erano state usate alla periferia di Damasco, uccidendo circa mille persone. Gli ispettori Onu avevano ricevuto l’incarico di verificare cosa era accaduto, e anche se non avevano il mandato di attribuire la colpa, la responsabilità del regime di Assad era apparsa subito chiara. In precedenza il presidente Obama aveva detto che l’uso delle armi chimiche era una linea rossa invalicabile nel conflitto siriano, e quindi tutti si aspettavano che avrebbe reagito bombardando le postazioni governative. La conseguenza più probabile dell’attacco sarebbe stata la caduta di Assad, aprendo la porta alla conquista del Paese da parte dei ribelli e forse alla fine del conflitto. Mosca però convinse Damasco a liberarsi delle armi chimiche pur di evitare i raid, il capo della Casa Bianca decise di non intervenire, e la guerra proseguì, creando lo spazio poi occupato dall’Isis.
La vicenda tuttavia non si è chiusa là. Tra il 2014 e il 2015 sono avvenuti nuovi attacchi, soprattutto con cloro e iprite, anche nota come gas mostarda. L’Onu e l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche hanno ricevuto nuovamente l’incarico di condurre le ispezioni, guidate dall’argentina Virginia Gamba, ma stavolta con il mandato di puntare il dito sui colpevoli.
Il rapporto su questi controlli verrà presentato oggi al Consiglio di Sicurezza, però i suoi contenuti erano già stati anticipati nei giorni scorsi, probabilmente da fonti americane che volevano mettere in difficoltà la Russia e Assad. Gli ispettori hanno analizzato nove attacchi in sette città diverse, e sono arrivati alla conclusione che il regime siriano ha usato il cloro in almeno due occasioni, e l’Isis ha adoperato il gas mostarda in un’altra, nel villaggio di Marea. Gli altri attacchi sono stati confermati, ma senza stabilire con certezza i responsabili.
Sul piano politico ora la sfida si sposta nel Consiglio di Sicurezza, dove Usa e Francia hanno già dichiarato di volere una risoluzione di condanna di Damasco. Mosca però potrebbe opporsi col veto, e quindi l’intera partita si giocherebbe poi sull’uso del rapporto nel quadro del negoziato ancora portato avanti dal mediatore dell’Onu Staffan de Mistura, per accelerare la soluzione diplomatica o impantanarla.
Aldilà di questo, gli ispettori si sono convinti anche di un altro fatto, che non avrà necessariamente spazio nel rapporto, ma possiede invece un forte potere di impatto sulla sicurezza di tutti. L’Isis non ha rubato l’iprite dagli arsenali di Assad, o magari da quelli dimenticati di Saddam, ma se l’è fabbricata da sola. Anche solo mettendo le mani sulle raffinerie irachene e siriane avrebbe ottenuto i materiali necessari. Alcuni di questi materiali, del resto, sono facilmente reperibili anche altrove, e qui nasce l’allarme che va oltre gli effetti sulla guerra civile siriana. In altre parole, se l’Isis possiede tale know how all’interno del Califfato, ce l’ha anche fuori, e potrebbe usarlo per condurre attentati in Libia, Europa, Stati Uniti, o dovunque riesca ad arrivare con i suoi simpatizzanti.
Questo corollario del rapporto, anche se non esplicito, apre un altro problema politico: gli Usa, la Russia, e gli altri Paesi chiave del Consiglio di Sicurezza, riusciranno almeno ad accordarsi su come prevenire la minaccia? Il tema non sarebbe all’ordine oggi, ma già nei mesi scorsi si era discussa l’ipotesi di approvare una risoluzione per allargare le ispezioni chimiche ai «non state actors», ossia le entità non statali e terroristiche, però gli Usa avevano frenato. La speranza ora è che ci possa essere un’accelerazione su questo fronte, e in generale sulla ricerca di una soluzione politica alla guerra siriana.