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 2016  agosto 30 Martedì calendario

Gli sfollati di Amatrice ospiti nella new town dell’Aquila

«Quelle di Amatrice? Sono là, venga che l’accompagno così le saluto». La signora Adalgisa interrompe il lavoro sui suoi fiori e con il grembiule addosso attraversa le stecche di palazzine a due piani tutte uguali. Santa Rufina, “map” cioè moduli abitativi provvisori. Poca gente in giro, tante persiane chiuse e il sole che picchia. Giuseppina, Marzia e Domenica devono ancora finire di sistemarsi nell’appartamento. Gli scatoloni impediscono alla porta di casa di aprirsi completamente sulla cucina- soggiorno. La tv è accesa, il tavolo apparecchiato con i piatti di plastica. Due cagnolini saltano qua e là per studiare il nuovo territorio. «Allora, come state? Ve l’ho già detto, se avete bisogno di qualcosa chiamatemi. Mi raccomando. Ci vediamo presto, eh».
La prima generazione di terremotati accoglie la seconda nella nuova vita, quella dopo la grande scossa. «Stanno passando un momento durissimo, lo so bene – dice sotto voce Adalgisa prima di tornare all’aiuola di fronte alle sue finestre – ma nella tragedia loro sono state più fortunate di noi. Hanno già un tetto. Io nel 2009 con mia mamma e mia suocera ho fatto la macchina, il camper e la tenda prima di trovare posto qui».
Le nuove arrivate sono nonna, mamma e figlia, tre generazioni scampate al disastro. «Adesso questa casa per noi è la soluzione migliore – spiega Giuseppina – Anche perché mia madre ha 79 anni. Non volevo farla vivere per dei mesi in una tenda, con la prospettiva del freddo invernale. Anche l’idea di andare in albergo non ci piaceva proprio». L’appartamento non è grandissimo ma l’essenziale c’è. E fino a tutto ottobre è gratis, visto che il Comune dell’Aquila ha firmato un comodato gratuito. Poi si vedrà. «Mio marito e i miei altri figli sono rimasti in paese e anch’io un giorno voglio tornare», dice sempre Giuseppina. Da mercoledì, quando le tre donne sono andate a stare da un parente, nessuna è tornata a vedere come è ridotta Amatrice. Le informazioni arrivano da tv e giornali o dai racconti telefonici. La famiglia di Giuseppina l’altra notte si è tutta salvata. La scossa ha pesantemente lesionato la loro casa ma non l’ha fatta crollare. «Abitavamo in centro ma in qualche modo il nostro palazzo ha retto. Siamo usciti in fretta, abbiano aiutato mamma e ce l’abbiamo fatta. Mia figlia era fuori di casa, era ancora al lavoro al bar e anche lei è salva. Dobbiamo ringraziare il signore».
Quello ospitato a Santa Rufina di Roio, un paesino su un altopiano verde a pochi chilometri dall’Aquila, è uno dei 15 nuclei familiari che hanno accettato di lasciare Amatrice per vivere in una delle casette costruite dopo il 2009. In tutto, 40 sfollati che sono arrivati tra venerdì e ieri mattina e sono stati sistemati in zone diverse. Di posto ce n’è tanto nelle 19 “piastre” di palazzi costruite dopo il terremoto di 7 anni fa e sparse in tutto il territorio comunale. In certe frazioni il tessuto urbano adesso ha un aspetto schizofrenico. Nello spazio di poche centinaia di metri si trovano ruderi mai più toccati da allora oppure case cerchiate, villette di colori accesi appena restaurate, simil-baite di legno antisismiche e appunto gli alloggi pubblici per l’emergenza. Cioè i moduli detti “map”, considerati appunto provvisori, e quelli del “progetto case” (complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili). Sono le new town delle polemiche volute da Berlusconi e costate un miliardo. Gli appartamenti liberi, oggi che piano piano la gente sta rientrando nelle vecchie abitazioni, sono oltre 300 e potrebbero ospitare una buona parte degli sfollati di Amatrice. Non sono tantissimi, però, quelli che hanno accettato di trasferirsi a 55 chilometri dalla loro vita precedente. «Appena fanno le casette di legno che hanno promesso io torno su, voglio vivere dove ho le mie terre e i miei animali», sorride Giuseppina. Ci vorrà tempo, per adesso il suo orizzonte sono questa lunga palazzina e la gentilezza di Adalgisa.