Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 29 Lunedì calendario

Francesca Rinaldi, la donna delle piattaforme che comanda 120 uomini su un tacco 12

Alle elementari, quando le sue compagne di classe volevano fare le maestre, lei sognava di salire su una piattaforma. E sulla spiaggia di Rimini, quando tutte le altre si perdevano dentro l’orizzonte o dietro gli aquiloni, lei aveva lo sguardo sempre fisso lì: su quelle torri alte in mezzo al mare, su quelle zattere tecnologiche che tiravano fuori dal mare chissà che cosa. Francesca Rinaldi era una bambina, non aveva chiaro in testa che cosa si facesse esattamente lì sopra, ma sapeva che un giorno ci sarebbe salita. «Le andavo a vedere da vicino con il barchino dei turisti, era una scusa per avvicinarmi il più possibile».
Quella piccolina che sognava le piattaforme oggi ha 38 anni, è ingegnere ambientale ed è diventata responsabile per le tecnologie di completamento ed ottimizzazione della produzione per tutti i pozzi che Eni ha nel mondo. In pratica, ha realizzato il suo sogno. Da anni gira il mondo, sale e scende dalle piattaforme: disegna pozzi, individua le zone di perforazione, studia le formazioni geologiche, coordina team di uomini e donne. Francesca ripercorre all’indietro la sua storia, una vita dove ogni scelta, anche la più piccola, è un passo verso la meta. «Ho fatto scelte seguendo quello che volevo fare e, alla fine, l’ho ottenuto». Francesca Rinaldi è andata incontro al suo futuro con la forza di un caterpillar, la precisione di un metronomo e la tenacia di un segugio. «Ho studiato ingegneria ambientale e al quarto anno ho scelto l’orientamento “idrocarburi”». Normalmente una donna sta lontana da queste materie, come del resto dalle piattaforme. «A me il sottosuolo mi ha sempre affascinata».
Come è arrivata all’Eni?
«Ero ancora una studentessa. Ho superato un colloquio per preparare la tesi. Ricordo la prima volta che sono arrivata a San Donato. Ero partita da Bologna e mi sono ritrovata davanti al palazzone di vetro, mi sentivo piccolissima. Ma avevo capito che il mio futuro sarebbe stato lì. Un anno dopo sono stata assunta».
Quando è salita per la prima volta su una piattaforma?
«A 25 anni. Dopo un corso tecnico sono partita per il Mare del Nord ad Aberdeen. Ho avuto un battesimo di fuoco: ho passato sia il Natale che il Capodanno in mezzo al mare. Un elicottero mi ha portata in piattaforma. Ero giovanissima e ricordo che per un momento mi sono detta “Chi me lo ha fatto fare?”. Ma è durato solo un attimo, poi non me lo sono più chiesto per tutto il resto della mia carriera».
Era l’unica donna?
«Sì. Per fortuna c’era anche qualche italiano. Seguivo tutte le operazioni su cui poi dovevo fare rapporto ai miei responsabili in ufficio».
Il team in piattaforma come ha preso l’arrivo di una donna giovane?
«Il nostro è un ambiente molto gerarchico. C’era molto rispetto anche perché ero lì come rappresentante Eni. Erano tutti molto gentili. Quando passavo nel corridoio stretto, se c’era qualcuno che arrivava dall’altra parte, subito si spalmava contro la parete per lasciarmi passare».
Quel Natale come lo ha passato?
«Abbiamo fatto un pranzo speciale con tutto il team, abbiamo pure decorato la mensa della piattaforma. Con la mia famiglia ho festeggiato dopo, al mio ritorno. Ma per me non era importante quello. Ero felice perché finalmente potevo vedere con i miei occhi tutto quello che fino a quel momento avevo solo studiato sui libri».
Dopo il Mare del Nord?
«Sono stata a Houston, in particolare in piattaforma nel Golfo del Messico».
Sempre unica donna?
«Sì, qui ero anche l’unica italiana. È stata un’esperienza bellissima».
Ma non sono tutte uguali le piattaforme?
«Apparentemente sì. Ma la tipologia dei pozzi, la struttura, il tipo di operazioni cambiano ogni volta. Ed è il bello del mio lavoro. Ogni volta una sfida nuova. Tu non sai cosa trovi sotto. Puoi analizzare i dati, sentire gli esperti, ma solo quando vai a perforare capisci se le valutazioni e gli studi erano giusti».
Dagli Stati Uniti e dopo altri corsi tecnici è poi andata in Egitto, un ambiente culturale molto diverso soprattutto per una donna. Nel frattempo lei aveva ruoli di responsabilità sempre maggiori. Come è riuscita a farsi accettare da una squadra di uomini?
«In Egitto ci sono stata due anni. Davanti alla competenza, all’impegno, alla passione si sono resi tutti disponibili e collaborativi. Certo, non è stato facile».
Quali difficoltà ha incontrato?
«Le faccio un esempio: quando dovevo parlare con i colleghi egiziani all’inizio mi accompagnavano gli italiani. Ma poi giorno per giorno ho conquistato la loro fiducia tanto che poi, quando hanno saputo che sarei partita per l’Angola, hanno chiesto ai miei capi di lasciarmi ancora lì. Per me è stata una soddisfazione enorme».
Ricorda qualche episodio di quest’esperienza?
«All’inizio quando presentavo i miei programmi di lavoro sui pozzi per ottenere il nullaosta aspettavo settimane prima che venissero firmati. Restavano fermi sulla scrivania diversi giorni. Alla fine, invece, andavo personalmente e se non c’era troppa gente il collega egiziano lo vistava velocemente».
Ma quando non era in piattaforma cosa faceva?
«Una vita normalissima».
Me la racconta?
«Ho visitato Il Cairo, ho conosciuto tantissime persone. Andavo al cinema, a teatro. Avevo comprato un’auto e affrontavo anche il traffico caotico».
Ma nella sua vita, tra petrolio e gas, c’è tempo per tutte quelle cose che normalmente piacciono alle donne?
«Estetista, parrucchiere, shopping… Feste, uscite. Non mi sono mai fatta mancare niente».
Fidanzati?
«Mai sul lavoro».
Cosa c’è dentro la sua valigia?
«Dico sempre che ho la doppia valigia: una per il lavoro con tute, felpe etc. Un’’altra da donna: quindi tailleur, tacchi a spillo, gonne, calze».
Lei era in Egitto quando è stato scoperto Zohr? È una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale, per lei dev’essere stato un evento importantissimo, più o meno come l’America per Colombo.
«Io ero già i Kazakistan. Ma anche se da lontano ha partecipato alla gioia e all’emozione di quel giorno e anche di tutto il periodo successivo. Dal momento della scoperta sono iniziati nuovi studi per lo sviluppo del campo e si sono pianificati subito altri pozzi da perforare per accelerare la messa in produzione».
In Kazakistan è arrivata da “super capo”. Prima come gestore del team dell’ufficio e poi è stata nominata direttore tecnico. Centoventi persone sotto di lei, molti uomini. Come è andata?
«Io non sono arrivata lì dall’alto. Ho fatto tutta la gavetta e questo mi ha certamente aiutato. Poi ho sempre creduto nel lavoro di squadra. Ogni mia decisione è il risultato di continui confronti, ogni scelta nasce da un ragionamento che deve essere verificato ma ha sempre una sua logica».
Lei è un ingegnere vero… Sempre così razionale, mai un colpo di testa?
«Sì sono ingegnere dentro: razionale, determinata e molto coerente».
Non ha mai paura di sbagliare, non si pente delle scelte?
«Penso che si possa fare sempre meglio, ma come dicevo tutto quello che faccio segue una logica. E poi una scelta non è scritta sulla pietra. Se è sbagliata si può cambiare».
Dal mese di marzo è tornata a Milano, a San Donato. Cosa fa quando non è sulle piattaforme?
«Sono sempre pronta a partire anche se mi piace molto il lavoro che faccio nel quartiere generale dell’Eni perché ho una visione totale di tutti i pozzi di Eni nel mondo. Una realtà enorme».
Quanto il lavoro ha tolto alla sua femminilità?
«Nulla. Sono una donna».
E quanto alla sua vita privata?
«Nulla».
Lei per il momento non ha figli. Se ne avesse non potrebbe più andare in giro per il mondo sulle piattaforme.
«Sbagliato. Eni si occupa di tutta la famiglia degli espatriati: quindi se non ne ho è solo un caso. Non una scelta. Se dovessero arrivare partirebbero con me. La società si occupa anche delle loro scuole e aiuta perfino il partner a trovare un lavoro».
Adesso è in vacanza?
«Rientro questa settimana ma sono contenta. Il mio lavoro è un po’ la mia casa dove torno volentieri dopo le ferie».
Dov’è in vacanza?
«A Rimini, dalla mia famiglia».
Guarda ancora le piattaforme?
«Sempre».