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 2016  agosto 29 Lunedì calendario

Intervista a Mariano Apicella, il chansonnier di Berlusconi

«Sono qui, alla Certosa. Mi meraviglia il fatto che lei non lo sappia...». Faccia un in bocca al lupo Presidente, allora. «Certamente, riferirò».
Te lo ritrovi lì. In mezzo ci sono Ruby, processi, insinuazioni, inchieste sui giornali, mezze frasi che parevano definitive. Sembra che non ne sia rimasta traccia. «Per quel che mi riguarda, col Presidente, non s’è mai rotto nulla». Eppure, sa, si diceva.... «Ma sì, qui in Italia quando Patrizio Oliva vinceva ogni incontro c’era gente che lo voleva morto. Invidia che ammazza». Mariano Apicella, lo chansonnier di Silvio Berlusconi, dal parco della villa sarda del Cav fa spallucce. Sceglie la figura di un pugile «napoletano come me» per spiegare che cosa è rimasto in piedi dopo i casini di questi ultimi anni. Casini del «Presidente» soprattutto, nei quali, per prossimità, si è trovato invischiato. Ti butta lì, sornione, che «a luglio sono stato due settimane ad Arcore». Subito dopo i malanni al cuor di Silvio, dunque. Roba per pochi eletti. «Poi sono tornato un paio di giorni a casa e ora sono qua». Una lunga storia «di amicizia». Classe 1962, Apicella ammette che quel 27 maggio 2001 fu baciato dalla fortuna: «Sa che facevo il suo stesso lavoro?», gli disse Berlusconi quando lo incontrò all’ascensore dell’Hotel Vesuvio. Lui lo sapeva, gli sorrise e tempo qualche minuto si ritrovò a suonare a un tavolo dove sedevano anche Fini e Buttiglione. Sliding doors. Il resto è la storia dell’interprete della canzoni del «Presidente», lo chiama soltanto così. La vicenda del (presunto) custode di indicibili segreti, del musico e testimone privilegiato di un pezzettino della nostra Repubblica. Lui, i potenti di questo pianeta, li ha incontrati tutti.
Che ragazzo era?
«Un monellaccio, evitavo la scuola e i libri, facevo disperare i genitori. Volevo soltanto suonare la chitarra».
Come faceva papà.
«Sì, lui per me aveva idee ben diverse ma lo seguivo ostinatamente. Iniziai a fare il posteggiatore al suo fianco (il posteggiatore, a Napoli, è lo specialista in serenate, ndr). Ben presto capì che non c’era niente da fare e mi disse: “Vuoi suonare? Allora vai all’estero, ti fai le ossa e vedrai cosa significa fare questo lavoro”. Conobbi un impresario di Milano, si chiamava Pietro Massari, mandava in giro quasi tutti i chitarristi napoletani».
E la spedì ad Abu Dhabi.
«Avevo 19 anni, non sapevo manco dove fosse Abu Dhabi. Una meraviglia: lavoravo allo Sheraton, avevo la mia camera, tutto lavato, tutto gratis. Poi ho suonato al Cairo, in Cina e in Corea, dove ho incontrato mia moglie. Mi sono sposato e ho messo su famiglia, l’ultima cosa che volevo al mondo. Ma quando arriva neanche te ne accorgi...».
Ha una moglie coreana?
«Nata in Corea, immigrata alle Hawaii quando aveva tre anni e italiana d’adozione».
Il posto più folle?
«Il Cairo: un disordine totale. Non solo per la città: gli alberghi ci pagavano in dollari, ma non li avevano. Aspettavano che arrivassero dall’America e io restavo a secco per mesi».
E poi incontrò il Cav
«Eh no, calma... prima c’è Ischia, suono dieci anni al porto, alla Taverna Antonio. D’inverno andavo all’Hotel Vesuvio. Soltanto nel 2001 ho incontrato il Presidente. Non ci siamo più lasciati».
Tra tutte le serate con lui, quella che le è rimasta più impressa?
«Quando venne Putin. Non lo conoscevo e mi dicevo: “Madonna santa, questo è un santone, non ride mai”. Lo incontrai alla Certosa e fu spettacolare: una persona stupenda, ha un grande senso dell’ironia».
Fiumi di vodka?
«Si figuri, è una diceria. Putin ha bevuto vino a cena e poi soltanto un caffè espresso. Di vodka neppure una goccia».
Un altro personaggio che la sorprese?
«Tony Blair. Arrivò in Sardegna con la moglie: lui alla chitarra, lei cantava. La signora ha fatto Let it be e mezzo repertorio dei Beatles. Se lo sarebbe aspettato vedendoli in televisione? Io, no».
Marina?
«Persona fantastica. Quando la incontro le suono le canzoni spagnole, le piacciono molto. Il dottor Letta, invece, ama il repertorio classico napoletano».
Confalonieri è davvero così bravo al pianoforte?
«Musicista sopraffino. Quando lo scorso mese ero ad Arcore l’ho sbirciato mentre si allenava: fa delle scale che non ne ha idea... mani scioltissime. Se avesse più tempo da dedicare allo strumento sarebbe un concertista enorme».
La verità, le canzoni le scriveva davvero il Cav?
«Scherza? Assolutamente. Componevamo alla Certosa, oppure a Macherio. Alle volte siamo andati a letto alle sei del mattino: fino a quando tutto non era come dicevamo noi, non si dormiva».
Che rapporto ha con Francesca Pascale?
«Ottimo».
Territorialità...
«Ma si figuri! È pieno di napoletani che mi stanno totalmente sulle palle. Però Francesca mi ha conquistato già il primo giorno: “Ma tu sei Apicella? Il cantante di Berlusconi!”. Era bambiniella. È ancora giovane, ma all’epoca era proprio ’na bambina».
Meglio con lei che con Veronica Lario, insomma.
«Con la signora non avevo... diciamo che con Francesca siamo più coetanei».
Le notti ad Arcore: cene eleganti?
«Roba normalissima».
Non cambia versione, insomma.
«Ma non faccia il pm!».
Scusi?
«Non ci deve mica restare male se le racconto quello che ho visto».
E che c’entrano i pm?
«Sa, quando sono andato a processo ci sono rimasti talmente male per quello che ho raccontato che mi hanno indagato per falsa testimonianza. Non ci rimanga male pure lei».
Di donne, però, ce n’erano parecchie: la più bella che ha visto?
«Impossibile rispondere. Ne ho viste tante, tante...».
Berlusconi le ha mai proposto di candidarsi?
«Mai. Per me il Presidente è come un secondo padre, non ne avrei approfittato. Poi la politica mi sta un poco sulle palle: ci si mette lì, bla bla bla, si pigliano 15mila euro al mese...non si fa un cazzo».
Immagino che oggi voterebbe ancora Berlusconi.
«Indubbiamente».
E da ragazzo chi votava?
«Sempre Berlusconi».
Ma come? Intendo prima del ’94.
«Ah...beh, in famiglia non avevamo preferenze sfegatate. Ma da quando è arrivato il Presidente, anche solo per un fatto di simpatia televisiva, ho votato per lui. E guardi che non parlo per partito preso: quando era premier avevo molti più ostacoli nel mio lavoro».
Sicuro sicuro?
«Assolutamente».
Si riferisce a Sanremo...
«Bravissimo. Berlusconi era presidente e non mi hanno fatto andare al Festival. Perché, secondo lei?».
Chi si mise di traverso?
«Fabrizio Del Noce».
Uno con l’etichetta di berlusconiano...
«Di solito i nemici peggiori te li trovi in casa. Ma non fu solo Sanremo. Anche Domenica In…».
Che?
«Mi facevano cantare all’una e venti, subito dopo il tiggì. Chi vuoi che ti ascolti? Pure Carmen Russo mi diceva: “Marià, io non capisco. Voi cantate dopo il tg e l’ascolto sale. Pensate se vi mettessero alle cinque”. Ma niente...».
Isola dei Famosi. Passò alla storia lo scazzo con Cristiano Malgioglio, al quale disse: “E certo, tu si’ ricchione e io no!».
«Gli chiesi scusa, gli mandai una lettera e Cecchi Paone mi disse che lui la strappò senza neppure leggerla. Quell’episodio fu montato ad arte. Sa, mica lo avevo detto in diretta. Cristiano mi dimostrava una cattiveria umana incredibile, per lui sull’Isola non esistevo. C’era anche Valeria Marini, che mi conosceva e mi difendeva: “Guarda che Mariano non è uno sfigato”. Ma niente. Malgioglio diceva che io ero l’inferno e lui il paradiso. Che non avevo né arte né parte. Ma come? Uno che ha fatto il posteggiatore non ha arte? È arte, la posteggia».
Lui la provocava e lei sbottò.
«Sì. Ma poi hanno trasmesso solo quel “tu si’ ricchione e io no”. Degli insulti di Malgioglio neanche uno. Dovevano far vedere che ero l’omofobo figlio di puttana e lui il gran signore. Malgioglio mi diceva che avevo scritto canzoni solo per il Presidente e che lui scriveva per Mina. E allora chi scrive per Mina può fare il cazzo che gli pare?».
Pure Luxuria, che conduceva l’Isola, la massacrò.
«Ovviamente. Gli altri concorrenti, che sapevano cos’era successo, mi chiedevano: “Ma perché ti dà contro?”. Il motivo mi pare chiaro, Luxuria fa parte di un certo mondo... e poi, scusi, a Napoli “ricchione” è un intercalare, lo dici pure agli etero. Se si documentassero meglio sulla parola forse si offenderebbero un po’ meno».
La rivedremo in tv?
«Onestamente lo spero».
Lei è tifosissimo del Napoli: Higuain traditore?
«È stato fatto un torto ai tifosi, lo capisco. Ma chi ha il coraggio di dire che non avrebbe lasciato Napoli per 7 milioni e mezzo netti? Il denaro è la luce dei nostri occhi, purtroppo. Fa la comodità».
Che ne pensa della serie Gomorra?
«Non fa bene alla città: se la vede un adolescente esaltato che vuole fare il boss a tutti i costi non è mica innocua. Ma l’ho trovata imperfetta soprattutto per il dialetto napoletano: la cadenza, la tonalità non mi è piaciuta assolutamente».
Il più grande cantautore italiano?
«Fabrizio De Andrè».
In un’altra vita chi vorrebbe essere?
«Mastrioanni, per un fatto di bellezza: oltre che un attore che ha fatto la storia era un uomo magnifico».
Un rimpianto?
«Non ne ho, per niente. Rifarei tutto. Anche se la mia, per ovvie ragioni, è stata una carriera artistica anormale».
Poteva pure andare peggio...
«Lo so, sono stato un po’ ipocrita a dirlo: se non avessi incontrato Berlusconi forse sarei morto suonando nei ristoranti».