Corriere della Sera, 29 agosto 2016
«Le giovani donne dovrebbero votare per Hillary». Jill Abramson, ex direttrice del New York Times, ci spiega il perché
Da quando è stata licenziata dal New York Times, l’ex direttrice Jill Abramson, 62 anni, 2 figli e 4 tatuaggi (uno è la T di Times), si ostina a non voler rivestire il ruolo di «critica del giornalismo». Nonostante le intenzioni, parlare di politica americana con la prima donna che ha raggiunto i vertici del quotidiano newyorkese implica inevitabilmente riflessioni sul mondo dell’informazione.
Perché se la sottovalutazione dell’ascesa di Trump dipende anche dal fatto che «le redazioni hanno troppi laureati ad Harvard e pochi reporter provenienti dagli Stati del Sud che seguano la classe media», la diffidenza verso Hillary Clinton è «alimentata da uno scrutinio continuo» nei suoi confronti.
Curioso che a pensarlo sia la donna che ha indagato per due decenni l’evoluzione della famiglia/azienda Clinton. Pochi giornalisti conoscono pregi e difetti della coppia più potente di Washington come Abramson, che fin dagli inizi – reporter appassionata di vicende legali e del mondo oltre il Mississippi – ha seguito passo dopo passo la loro carriera, collaborando anche con Bill Clinton, allora governatore dell’Arkansas.
Il rapporto non l’ha frenata dall’indagare fino in fondo la loro controversa relazione con il potere e il denaro, al punto che, da direttrice del New York Times, si è guadagnata più volte la definizione di «nemica» da parte dell’ex segretario di Stato.
I contrasti non le impediscono tuttavia di pensare che il trattamento riservato alla candidata democratica sia frutto di una discriminazione. «Vedo stereotipi di genere alla base del giudizio nei suoi confronti – spiega al Corriere della Sera —. Dicono che sia una candidata inadeguata. Perché? Da segretario di Stato, quando aveva una posizione secondaria per quanto importante, aveva un livello di approvazione alto. Appena si è ributtata nella corsa alla presidenza, quei numeri sono scesi drasticamente».
La ragione, dice Abramson, ha un fondamento scientifico: «Ci sono moltissimi studi che dimostrano come donne che cercano di raggiungere o hanno raggiunto posizioni di potere vengano percepite come antipatiche. Per gli uomini non vale: le stesse caratteristiche, ad esempio ambizione e capacità di leadership, sono ammirate in versione maschile e viste come prepotenza ed egocentrismo nelle donne». Abramson non ha dubbi: «Si tratta di un doppio standard sessista di cui Clinton è vittima».
Il gioco di specchi con la sua vicenda al Times è evidente: per l’atteggiamento all’interno della redazione Abramson si è guadagnata antipatie, critiche e l’appellativo di «bossy» da parte dei giornalisti. Qualcosa ha imparato da quella esperienza – ad esempio che bisogna ascoltare di più – ma resta il fatto che a un uomo, forse, non sarebbe successo.
Qualche mese fa, sorprendendo parecchi lettori, la giornalista ha definito sul Guardian l’ex first lady «fondamentalmente onesta». Ne è ancora convinta: «La dipingono come una specie di Lady Macbeth coinvolta in osceni sotterfugi. Io credo che sia una fiera difensora della sua privacy: ci sono cose della sua vita che non possono e non devono essere pubbliche».
È il suo difetto più grande certo, ma sbaglia chi crede che in quella «zona grigia» ci siano corruzione e accordi segreti. Abramson sa che Hillary non ha dalla sua le giovani donne – che l’ex direttrice definisce «generazione Lenny» con riferimento alla comunità che si sta formando intorno alla newsletter dell’attrice Lena Dunham —. Invece di criticarla, dovrebbero lottare per la sua elezione. Per quale motivo? «Innanzitutto perché è preparata per fare questo lavoro, poi perché ha passato la maggior parte della sua carriera ad aiutare donne e bambini e, infine, perché è importante rompere le ultime barriere per le donne».
Paradossalmente, la corsa che potrebbe portare alla prima donna presidente degli Stati Uniti rischia di essere «un’elezione post gender». Un errore da evitare: «Avere un presidente donna farà una differenza enorme e renderà più semplice per le giovani donne raggiungere il massimo dei loro obiettivi». Anche perché Abramson crede ancora che una storia di successo possa fare la differenza per tutte.