Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 26 Venerdì calendario

Come si prova a vivere nella tendopoli

Dal nostro inviato
Amatrice. Sa di che cosa avrei bisogno? Di una sigaretta». La donna è nella tendopoli del campo sportivo. Ha 52 anni, si chiama Marisa. Siede nell’erba col figlio che mangia un piatto di pasta. «Dentro fa caldo, non si respira. Stanotte si gelava. Abbiamo dormito per terra».
Ora sono arrivate le brande, a poco a poco arrivano anche i materassi. Entro notte arriveranno i condizionatori per scaldare il sonno e rinfrescare la veglia. Un gruppo di ragazzi mostra come si sta dentro. «Neanche tanto male, vero?». Dicono che vorrebbero dei libri. Si annoiano un po’. Ci sono ventiquattro tende della Protezione civile, ognuna contiene fino a dodici brande. È l’ora del pranzo, quasi tutti si sono spostati nel campo di calcetto a fianco dove si servono pasti caldi, oggi farfalle al sugo, mozzarella, pomodori, pane a fette, pesche. «Ci stanno pure le sarciccie, bone bone, pure ’n gotto de vino», dice Sabatino, 83 anni, in ansia perché la cagnolina Lilly è terrorizzata.
Lungo il campo si vedono coperte, giacche di pile, maglioni impilati su sedie pieghevoli. I bambini hanno qualche giocattolo, cavallini a ruote, tricicli, casette per le bambole. Qualcuno di loro sta giocando su un piccolo scivolo. Altri sono al parco vicino, sulle altalene con le mamme a fianco, o a giocare a calcio e a gridare a mani al cielo per un gol. «Avrei bisogno che mia figlia capisse, ha cinque anni, mi chiede quando torniamo a casa e io non so dirle che una casa non l’abbiamo più», dice una donna sulla trentina che non vuole dire il nome: «Non ne posso più, nemmeno di voi».
Ognuno ha un bisogno diverso. «Vi prego, datemi qualcosa con cui lavarmi», dice una donna in fila alla palestra, dove ci sono spaghetti, succhi di frutta, legumi in scatola, tute, felpe, Scottex, caramelle, pelati, scarpe. È roba che arriva da tutta Italia. Lei avrà bagno schiuma e sapone liquido. «Dicono che oggi arrivano le docce da campo, intanto vado alla fontanella». Maricika, 30 anni, romena, non ha bisogno più di niente ora che sua sorella è morta. Martedì sera era andata coi Vigili del fuoco di Bergamo nella zona rossa, il centro storico, a indicare il punto esatto in cui scavare. Però s’era fatto tardi, e ha preteso di dormire per terra, fra le macerie. Stamattina hanno tirato fuori la sorella, 35 anni. Il riconoscimento è stato fatto lì.
Durante il giorno si riempie il tempo così. Aspettando il turno di accompagnare i pompieri, o in fila all’obitorio allestito nei giardini della casa di riposo. Lì ieri una palazzina ha ceduto ancora un pezzo di sé sotto una scossa violentissima e breve che ha finito di demolire la scuola elementare. Elisa ha nove anni e la madre che piange. Elisa no: guarda la scuola dove tra poche settimane avrebbe cominciato la quarta elementare. Non sei contenta che non devi più andare a scuola? «No». Perché? «Perché no».
A fianco della scuola ci sono gli uffici comunali con la stanza dell’assistenza alla popolazione. I volontari consegnano i passaporti, i portafogli, i telefonini che trovano nelle case diroccate e la gente va a ritirarli. Oppure a dare descrizione dei dispersi: il colore degli occhi, un tatuaggio, una catenina. Se le cose tornano, si mostrano le foto dei morti scattate dai carabinieri. Sembra, ma la vita quotidiana è piena di incombenze, anche oggi, anche ad Amatrice.
Una donna – quante donne indaffarate! – porta i pacchi di viveri con la figlia Alessia, vent’anni. Non ce la fanno. Qualcuno le aiuta. «Devo tornare alla mia frazione, San Benedetto, perché devo badare alle pecore». Anche Sabatino ha le pecore: «Le ho chiuse perché la modernità ci ha portato i lupi sull’uscio. Me ne hanno mangiate già tante...». Alla tendopoli è arrivato un camion di una cooperativa di Fondi che regala pomodori, melanzane, peperoni. Tutti aiutano a scaricare, poi vanno su all’obitorio dove il vescovo di Rieti, Domenico Pompili, dice messa con un tavolino di plastica per altare. Un prete legge la prima lettera di San Paolo ai Corinzi. Il vescovo dice che si può pregare anche da arrabbiati. Anzi, è meglio. Cita Lutero: «Ci sono lodi più sincere in tante bestemmie che salgono al cielo». Un carabiniere riaccompagna una vecchia signora con gli occhi rossi. «È lui», dice a una ragazza. Ancora una scossa. A questo assurdo frullatore che ha prodotto migliaia di scosse non bada più nessuno. Semmai ci si anima perché da un furgone scendono volontari coi palloni e i coniglietti di peluche. «Chi li vuole i giocattoli?». Non c’è timidezza. I bambini strappano le scatole di cartone. «L’aeroplanino!». «L’orso!». «La chitarra!». «Io ne voglio due perché ho una sorellina». «Io no perché la mia sorellina è in cielo. Capito? È in cielo. In cielo!». «E lo so, è morta». Christian ha dieci anni e mette il muso. «Io non voglio un giocattolo. Voglio una tenda. Ma quanto ce vo’ per una tenda?».
È di nuovo sera. Non arriva mai la sera e poi arriva di colpo e fa subito freddo. E poi sarà domattina, e ci sarà un’altra giornata piena, in cui ognuno andrà qua, là, farà questo, quello, perché Amatrice è anche la città dei vivi.