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 2016  agosto 26 Venerdì calendario

Le gite turistiche nel quartiere dei jihadisti. Accade a Bruxelles

A Molenbeek non c’è proprio nulla da vedere, se non una grande piazza ordinata ma un po’ insignificante dove si trova la sede del municipio e dove due volte alla settimana si tiene il mercato. Per il resto è un quartiere nemmeno troppo periferico, nemmeno troppo disagiato, nemmeno troppo sporco, né trasandato. Il tasso di delinquenza è basso, ma lo è pure quello dei divertimenti: i bar sono pochi e i negozi tristi, come possono esserlo in un area abitata in prevalenza da islamici nordafricani coi loro costumi castigati. Un quartiere dove si vive perché si nasce lì o si va a vivere perché si è musulmani e i prezzi delle case sono relativamente bassi. Non c’è proprio nulla di interessante a Molenbeek. Eppure in un momento in cui i turisti scappano da Bruxelles a causa del terrorismo (a luglio si è registrato -40% rispetto all’anno scorso), così come a Parigi e nel resto della Francia, Molenbeek sta diventando una delle mete privilegiate dei visitatori rimasti.
SAFARI DEL TERRORE
Attenzione, non se ne vedono come alla Grand Place o a Sablon, seduti ai tavolini dei caffè o a far la fila ai musei, a Molenbeek girano in gruppi organizzati, come in una specie di safari tra i fantasmi del terrorismo. Cercano il brivido sicuro protetti dalla guida, e anziché guardare il leone loro si accontentano del salafita in caftano, con la barba tinta di henné rosso, potenziale imam incazzato se non addirittura prossimo kamikaze. Possiamo immaginare però che l’attrazione definitiva, il motivo per cui tutti vanno a Molenbeek, è in realtà una sola: l’ormai famigerata casa di Salah Abdelslam in in rue des Quatre-vents, non lontana dal canale, e nemmeno troppo distante dal centro. Una semplice palazzina, metà grigia metà a mattoncini, come se ne vedono tante da queste parti. La casa dove è rimasto nascosto mentre era ricercato dalla polizia di mezzo mondo dopo le stragi di Parigi del novembre scorso, di fronte alla quale è stato arrestato mentre cercava di darsela a gambe alla chetichella. Le guide turistiche locali però non ci stanno, fanno finta che non sia poi così importante che il quartiere si sia meritato a ragione il nome di «capitale del terrorismo in Europa», che da qui sono passati la maggior parte dei jihadisti che sono andati in Siria e di ritorno hanno colpito in Europa. Le guide sostengono che i visitatori arrivano perché realmente interessati al quartiere e non per soddisfare il loro gusto del macabro.
Una di loro, Alan Debaecke, evita per principio di portarli alla casa di Salah. Debaecke sostiene addirittura che la maggior parte dei turisti vengono alla ricerca di «un quartiere vivace dove i progetti di rigenerazione urbana non solo attirano i ricchi in cerca di un loft, ma aiutano anche a migliorare la vita dei residenti». Uno di quelli che, a suo dire, si occupa dei progetti di recupero della zona si chiama Dino, è un siciliano in pensione, a Molenbeek da 37 anni. Mi dice che il quartiere è molto meglio della fama che si è fatto, che in Italia ci sono periferie peggiori in cui è davvero pericoloso entrare. Ma non nasconde che c’è un lato oscuro. Mi racconta di Salah e di suo fratello, di quando insieme alla famiglia gestivano un bar. Si conoscevano, si salutavano, nulla di più. Nessuno sospettava di loro, fino a quando non sono venuti fuori i nomi degli attacchi a Parigi. Molenbeek, dice, fino a 15 anni fa era solo un quertiere povero, il più povero dell’area di Bruxelles, dove comunque la gente di religioni e provenienze diverse cercava di vivere in sintonia. Ma qualcosa è cominciato a cambiare dopo l’11 settembre e soprattutto dopo la guerra in Iraq: «È stato in quel periodo che qualcuno a iniziato a mutare atteggiamento, che sono comparsi i primi negozi halal, gli imam salafiti. C’era chi veniva spesso a mangiare a casa nostra e poi ha cominciato a negarsi».
Quanto al turismo anche Dino è convinto che l’unica ragione possa essere il gusto dell’orrido anche se, sostiene, è comunque una buona occasione per rendersi conto che, nonostante i terroristi, il quartiere è molto meglio di quello che si dice. La pensa così Patrik, turista tedesco: «Credo che ognuno debba farsi le proprie opinioni di persona senza dare per certo tutto quello che dice la stampa. E infatti le mie impressioni sono totalmente diverse. Non bisogna temere le persone che vivono qui, i negozianti ad esempio sono persone normali. Tutto è perfettamente normale». Mentre alla domanda se non avessero paura a entrare nel quartiere risponde Alvaro, turista spagnolo: «Anche se ci fossero terroristi pronti a farsi esplodere non lo farebbero certo a casa loro». Mentre un sudamericano dice scherzando che potrebbe anche venirci a vivere, «è più bello di casa mia».
GRANDE SUCCESSO
Insomma la confusione regna sovrana tra i turisti, ma non tra i tour operator che anche se riconoscono che Molenbeek è comunque ancora una meta marginale, devono constatare che dagli attacchi di marzo ogni sabato a sono stati organizzati tour con gruppi di 40 persone ciascuno, destinazione «la capitale del terrorismo». Tra loro c’è anche l’operatore dall’impronunciabile nome «Brukselbinnensebuiten» che assicura di aver fatto il botto: grazie a Salah hanno decuplicato gli affari.