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 2016  agosto 26 Venerdì calendario

Miliardi per ricostruire ma solo 180 milioni per la messa in sicurezza. L’Italia è a rischio

Un fiume di denaro dopo il sisma per ricostruire quanto distrutto. Pochi spiccioli per la messa in sicurezza di un patrimonio abitativo tra i più vecchi e cadenti d’Europa. Nel Paese dei terremoti per la prevenzione sono stati stanziati appena 950 milioni di euro solo dopo i fatti dell’Aquila. E di questi fondi sono stati impegnati e solo in parte spesi, per l’adeguamento degli edifici non più di 180 milioni mentre in alcune Regioni i fondi sono quasi del tutto bloccati: come in Sicilia, una delle aree più in pericolo del Paese. Il risultato? Ogni giorno dovrebbero pregare che la scossa non arrivi da loro oltre 24 milioni di italiani, il 40% della popolazione, che vivono in 4,7 milioni di edifici ad elevato rischio sismico. Di questi immobili, 2,1 milioni sono stati realizzati prima del 1971, quando non esisteva alcuna norma edilizia in materia. «Ormai è assodato che il 70-80 per cento degli edifici pubblici e privati in Italia non è adeguato a reggere un terremoto – dice Alessandro Martelli, ex dirigente dell’Enea – comunque anche le abitazioni realizzate dopo il ’71 non sono sicure: una volta ho perforato con un dito un pilastro di un asilo in Sicilia, a Collesano, che era stato appena ricostruito. Perfino gli immobili recenti in molti casi non sono a norma. Ma tanto tra qualche giorno nessuno si ricorderà della prevenzione e un vero piano antisismico in questo Paese non si farà mai».
Secondo gli esperti per mettere in sicurezza solo gli edifici pubblici, considerando che la metà delle scuole e degli ospedali non è a norma, occorrerebbero 40 miliardi di euro: «Questa è una cifra al ribasso, ma almeno così in venti anni ci metteremmo in sicurezza», dice Mauro Grassi, direttore della Struttura “Italia sicura” di Palazzo Chigi. Se si allarga l’orizzonte anche alle case private, gli ingegneri parlando addirittura di 93 miliardi. Nel frattempo lo Stato non ha nemmeno un dipartimento unico che si occupa di prevenzione sismica e monitoraggio degli edifici. Le competenze sono disperse in mille rivoli tra ministero Infrastrutture, Protezione civile, Enea, geni civili e alla fine nessuno sa rispondere con dati ufficiali e certi a una semplice domanda: quanti soldi sono stati spesi in prevenzione del rischio sismico, per fare cosa, in quale aree e perché?
Dal Dopoguerra a oggi lo Stato ha stanziato 150 miliardi di euro per ricostruire le zone colpite dal sisma e se si allarga l’orizzonte al dissesto idrogeologico la cifra sale a 250 miliardi. Ma per la messa in sicurezza degli edifici nel resto del Paese il primo finanziamento arriva solo dopo il terremoto dell’Aquila nel 2009, quando il governo Berlusconi impegna 950 milioni nel «fondo per la prevenzione del rischio sismico». Soldi serviti in gran parte per la mappatura dei terreni e delle zone rosse. E per gli edifici? Al momento, e sono trascorsi sette anni, sono stati impegnati e non tutti spesi non più di 180 milioni per circa 250 interventi. Una goccia nel mare. Ma c’è di più. In molte regioni la spesa è vicina allo zero: in Sicilia i 10 milioni di euro per la mappatura dei terreni sono ancora bloccati. Il motivo? In una Regione che ha un bilancio da 24 miliardi di euro non sono state trovate le somme per cofinanziare il progetto e adesso si aspetta la nuova pioggia di fondi Europei.
E dire che i numeri sugli edifici a rischio crollo nel Paese sono drammatici. Secondo una ricerca dell’Ance ci sono 4,7 milioni di edifici privati ad elevato rischio sismico nelle regioni più esposte ai terremoti, 5,5 milioni se si aggiungono quelli pubblici. In queste palazzine vivono 24 milioni di persone, la gran parte concentrate in Campania e Sicilia. In generale nel Paese secondo l’Istat vi sono 7 milioni di immobili realizzati prima del 1971 e di questi 2,1 milioni sono in pessimo stato. Una relazione parlamentare della commissione Sanità denuncia l’esistenza di 500 ospedali a rischio crollo (il 75 per cento di quelli in funzione). Le scuole? «La metà sono insicure e non a norma – dice Salvo Cocina, ex ingegnere della protezione civile esperto del settore – la verità è che occorrerebbe avere il coraggio di abbattere le scuole degli anni Settanta e Sessanta e realizzarne di nuove».
Sulla prevenzione l’Italia non ha un piano e ha agito sempre con interventi spot. L’ultimo quello nella scorsa Finanziaria che ha esteso gli sgravi fiscali in materia di ristrutturazione anche a interventi sulla prevenzione dei terremoti. Ma la norma non è stata pubblicizzata: «E in ogni caso va estesa anche ai condomini, altrimenti serve a poco – dice il presidente dell’Ance, Claudio De Albertis – Quello che occorrerebbe davvero è però un programma di grandi interventi nell’edilizia pubblica e privata». Da sempre l’Italia è scossa da terremoti e ancora si parla di piani e programmi d’intervento da varare. Nel frattempo non è nemmeno obbligatorio per ogni abitazione avere la scheda tecnica sul rischio sismico: così chi compra una casa non sa nemmeno se andrà a vivere sotto un tetto sicuro.