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 2016  agosto 25 Giovedì calendario

Le grandi banche copiano il bitcoin

Finirà come tante altre utopie libertarie? La promessa del bitcoin, la moneta virtuale più famosa al mondo, era questa. Creare una valuta senza banche centrali, governata dal rigore di un algoritmo e dalle decisioni dei singoli utenti. La fine della storia minaccia di essere diversa. Perché sul bitcoin, o meglio sulla tecnologia contabile che sta alla sua base, la blockchain, per anni affare da visionarie startup, accaniti idealisti o, secondo i critici, loschi trafficanti, ora sono le grandi banche, sempre loro, a allungare le mani. Le ultime a lanciarsi, ha rivelato il Financial Times, sono niente meno che Ubs, Deutsche Bank, Santander e Bny Mellon. Colossi che si sono uniti per lanciare entro l’inizio del 2018 un’infrastruttura di scambio, con relativa unità di conto virtuale, con cui regolare le pendenze finanziarie. Citigroup, JpMorgan e Goldman Sachs nel frattempo lavorano alla loro moneta. Mentre già nel 2017 dovrebbe arrivare la versione di R3, il consorzio newyorchese di cui fanno parte 40 big globali del credito, tra cui gli italiani Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Il motivo di tanto interesse è presto detto: risparmiare. Ogni giorno gli operatori della finanza si scambiano miliardi di dollari in liquidità e strumenti di investimento. La blockchain è un registro contabile che frammenta le informazioni tra tutti i nodi della rete, senza un’autorità centrale che le controlli. Permetterebbe di togliere di mezzo gli attuali sistemi di compensazione, che con i loro intermediari costano alle banche circa 80 miliardi di euro l’anno. «Pensiamo ai pagamenti internazionali, alla compravendita di titoli o alla finanza a supporto delle imprese che importano ed esportano», spiega Daniele Savaré, responsabile dei sistemi informatici che regolano i flussi di denaro di Unicredit. Un trasferimento verso l’India, che oggi richiede giorni e un partner locale, con la blockchain sarebbe diretto e istantaneo. «Più veloce, sicuro e efficiente». Per il sistema del credito farebbero tra 15 e 20 miliardi di dollari risparmiati l’anno, stimano gli analisti, non proprio noccioline in questi tempi difficili.
La banca italiana lavora a diverse applicazioni della tecnologia, con il suo team interno, attraverso partnership con startup e nel consorzio R3. Ogni applicazione della blockchain infatti richiede un’infrastruttura su misura. E la sfida tra le banche, o gruppi di banche – come il progetto di Ubs, Santander e Deutsche conferma – è far sì che i loro protocolli diventino lo standard di settore. Magari con il decisivo bollino di garanzia delle Banche centrali.
«In questo di decentrato non c’è più nulla», obietta Antonio Simeone, 32 anni, che con la sua startup Euklid si occupa di trading finanziario in bitcoin. «Dopo avere snobbato e poi ignorato la tecnologia, ora gli istituti cercano di emularla». Con dettagli diversi però, dicono gli adepti della prima ora, in cui si nasconderebbe il diavolo. Nella blockchain messa a punto da R3, per esempio, la transazione è visibile solo tra le parti, non pubblica: altro che trasparenza. E se per i bitcoin sono i singoli utenti a validare gli scambi, ricevendo una ricompensa in sonante moneta virtuale, nella versione dell’alta finanza i “nodi” della rete sono di proprietà dei giganti del credito. Che per questo lavoro, almeno in teoria, potrebbero cominciare a chiedere una tassa, proprio come oggi fanno Visa o PayPal.
E passi, finché si tratta dei loro affari. Molto meno quando i pagamenti dovessero coinvolgere i correntisti. O la blockchain essere applicata agli altri settori in cui, sulla carta, il suo registro di proprietà distribuito calza a pennello. Come l’economia della condivisione, dove potrebbe consentire di creare nuovi tipi di contratti. O la salute, con una nuova cartella clinica decentrata, a disposizione di diversi istituti di cura, ma senza pericoli per la privacy. Per non parlare poi del rischio che, in questa corsa all’oro (virtuale), ogni gruppo di banche dia vita a una blockchain diversa, ognuna con il suo linguaggio e incapace di comunicare con le altre. Il sogno originario del bitcoin, in fondo, era anche questo, uno strumento di scambio globale. Andrà a finire come tante altre utopie universali?