la Repubblica, 25 agosto 2016
«Previsione è una parola tabù. L’esempio sui terremoti è il Giappone»
«Previsione, nel nostro campo, è ancora una parola tabù. Specialmente dopo quel che è avvenuto a L’Aquila». Ma qualcosa si sta muovendo. «California e Giappone sono diventati paesi guida nell’adozione dei sistemi di allerta rapida» spiega Marine Denolle, sismologa dell’università di Harvard.
Non sappiamo dire nulla, quindi, su quel che avverrà domani nell’Italia centrale?
«Ci sono leggi della fisica che ci consentono di fare previsioni affidabili, entro certi limiti, su quel che avviene dopo un terremoto. Sappiamo che una scossa forte viene quasi sempre seguita da numerose scosse più deboli».
Perché parlate sempre di rischi e probabilità, senza poter dare informazioni più precise?
«A differenza di altre scienze, quella dei terremoti è una scienza giovane. Ha solo una cinquantina d’anni. Quando registriamo una scossa, possiamo tracciare sulle nostre mappe la presenza di una faglia sismica. E quando le faglie sono al di sotto dei 10 chilometri di profondità possiamo anche delinearle facendo propagare delle onde nel terreno. Se studiamo bene una faglia e impariamo, per esempio, che genera terremoti ogni 100 anni, con un margine di incertezza di 30 anni, possiamo fare dei calcoli. Se l’ultima scossa è avvenuta 120 anni fa, ci aspettiamo che un sisma colpisca a breve».
Ma satelliti, sensori nel terreno, gps e algoritmi informatici sono tutti strumenti nuovi, che promettono passi avanti.
«Purtroppo prevedere una scossa resta molto, molto difficile. Immaginiamo di avere un bicchiere pieno d’acqua fino all’orlo e di aggiungere altra acqua, una goccia alla volta. Come facciamo a prevedere quale goccia farà tracimare il bicchiere? Con i terremoti il discorso è simile. Le forze e gli stress in azione sulle faglie sono altissimi, ma basta una piccola alterazione per scatenare una scossa. I segnali che potrebbero essere interpretati come precursori sono rari. E vengono puntualmente osservati solo dopo il terremoto».
Abbiamo speranza di migliorare la scienza dei precursori?
«Il vero problema è che non capiamo con precisione come si generino i terremoti. Per questo c’è ancora dibattito su cosa sia esattamente un precursore».
Le mappe del rischio sono l’unico strumento affidabile?
«Sì, sono strumenti utili. Conosciamo quali sono le faglie attive e questo ci permette di dire dove si concentra il rischio sismico. Con il tempo stiamo diventando sempre più bravi a determinare quanto – se mai colpirà – un terremoto potrà essere forte. Alcune aree come Los Angeles e Tokyo sono studiate benissimo, e da decenni. Lì siamo in grado di determinare la violenza di un’eventuale scossa molto meglio rispetto ad altre zone. Ma siamo sempre lontani dal livello di precisione desiderato. Sappiamo che l’Italia si trova sul margine di diverse placche ed è soggetta al pericolo di terremoti e vulcani. Ingegneri, economisti e altri esperti possono usare quelle informazioni per calcolare il rischio di una determinata zona».
A quale energia i terremoti uccidono?
«Dipende. Si possono avere scosse fortissime in zone isolate che non causeranno alcun danno. E scosse di energia moderata (per l’Italia penso a una magnitudo 5 o 6) che colpiscono zone popolate e con un’edilizia povera, creando danni enormi. In Nuova Zelanda c’è stato un terremoto tremendo, di magnitudo 7, distante da Christchurch che non ha creato danni equivalenti a quelli di una scossa di magnitudo 6 che ha colpito proprio sotto la città».
Cosa sono i sistemi di allerta rapida, e perché sono così poco diffusi?
«Il più efficiente fra questi sistemi di allarme è in Giappone. Ma è estremamente costoso. Ci vogliono numerosissimi sensori distribuiti per tutto il paese e algoritmi precisi per interpretare questi segnali e inviare i messaggi di allerta. La California e ancora una volta il Giappone sono i paesi che stanno investendo di più per migliorare questi algoritmi. Ma prima che possano essere considerati sicuri e adottati dalle autorità pubbliche ci vogliono tantissimi test e validazioni. E se la scossa è vicina l’allarme può arrivare solo pochi secondi prima: utile solo fino a un certo punto».