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 2016  agosto 25 Giovedì calendario

Il generale di Trump è pronto alla guerra. Chi è e cosa pensa Michael Flynn

STOUGHTON (Massachusetts) «Tutti questi leader in Europa e, francamente negli Stati Uniti, che continuano a lamentarsi...», dice il generale Michael Flynn al Corriere. Chi continua a lamentarsi? «Questo deve capirlo lei, non è il mio lavoro. Le dirò che do un voto positivo a Hollande in Francia perché almeno ha riconosciuto, anche se tardi, che c’è un problema e che i francesi devono fare di più. Ma gli altri che cercano di essere politicamente corretti sul terrorismo...». E Renzi? Ha un’idea del suo approccio? «No». È Merkel il problema, perché ha voluto accogliere i rifugiati? «Non lo so – sorride – è un errore?».
Michael Flynn, 56 anni, è un generale in pensione rispettato in America per i suoi 33 anni nell’intelligence militare in Iraq e Afghanistan. È stato il capo della Defense Intelligence Agency dal 2012 al 2014 sotto Obama ed è registrato come democratico. Ma è anche il principale consulente di politica estera di Donald Trump nonché l’unica figura della sicurezza nazionale di alto rango ad appoggiare il candidato repubblicano alla Casa Bianca. Candidato osteggiato da decine di ufficiali e definito da un ex capo della Cia «una minaccia» per l’America. Lo abbiamo incontrato a margine di un comizio in una sinagoga di Stoughton, sobborgo di Boston, a 80 chilometri dal paesino del Rhode Island dove Flynn è cresciuto in una numerosa famiglia militare irlandese. Una trentina di persone pagano 175 dollari per cenare con lui e ricevere il suo libro, Field of Fight (Campo di battaglia) scritto con il neocon Michael Ledeen.
Quando Trump ha ricevuto il primo briefing dell’Fbi, al suo fianco c’era Flynn. Quando Trump ha fatto il suo discorso di politica estera, era forte l’influenza di Flynn. «Sconfiggeremo l’islamismo radicale. E sconfiggeremo lo Stato islamico – ci dice l’ex generale —. Sotto la presidenza Trump, ci sarà una strategia coerente». Il miliardario ha dichiarato in passato che la vittoria sarà «così veloce», ma Flynn non nasconde che sarà una guerra lunga. «Richiederà molto più di 4 anni. Ci sono 20-30mila combattenti in Siria e in Iraq». Mentre Trump ha detto che invierà 30mila soldati Usa contro l’Isis, Flynn non dà numeri né parla di truppe di terra. Difende l’ultima proposta di Trump per «un attento esame» sugli immigrati da Siria, Afghanistan e Iraq, ma rifiuta di ammettere che il suo candidato in passato ha detto di voler bandire i musulmani.
Il fulcro della politica estera di Flynn è che i veri nemici dell’America oggi sono il radicalismo islamico e l’Iran. Con la Russia tutto sommato si può dialogare. «Davanti all’ascesa del radicalismo islamico, penso che dovremmo avere un dialogo diverso con Mosca e possibilmente affrontare la sfida insieme. Credo che la Russia, per via del suo rapporto privilegiato con l’Iran, possa portare quest’ultimo a ritirarsi dalle guerre per procura in cui è coinvolto in Medio Oriente. La Russia è in marcia, e gli Stati Uniti con l’attuale leadership hanno fallito nel tenere il passo. Dobbiamo essere duri in modo diverso, dobbiamo dialogare con loro. Non significa diventare migliori amici ma avere interessi in comune».
Secondo il Washington Post, vecchi colleghi incluso il generale McChrystal hanno consigliato a Flynn di moderarsi dopo le accuse a Obama di essere un bugiardo e a Hillary di meritare il carcere. Dubbi etici sono stati sollevati su un su viaggio a Mosca ad una festa della tv Russia Today dove sedeva vicino a Putin ed è stato pagato per tenere un discorso. «Vengo pagato per i discorsi e per molte cose – si difende —. La gente mi critica perché parlo chiaro ma non mi scuserò, perché ci credo. Sono molto egoista quando si parla degli Stati Uniti d’America, e credo che stiamo andando nella direzione sbagliata».
Per Flynn, tra gli errori più grandi di Obama c’è l’accordo nucleare con l’Iran, «Paese sponsor del terrorismo islamico: non raccomanderò al prossimo presidente di rinnovarlo». Altro errore: leader arabi come Al Sisi in Egitto non sono stati appoggiati abbastanza. I diritti umani? Regeni? «Perché lo cita? Vuol dire che è colpa sua? Al Sisi è una scelta realista: dobbiamo lavorare con i leader arabi pronti ad affrontare l’islam radicale. Al Sisi almeno ha il fegato di parlarne apertamente contro. I leader in Europa se non hanno il fegato di dirlo, non sono dei leader».