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 2016  agosto 25 Giovedì calendario

Pescara del Tronto, il paese che non c’è più

Due scivoli, una giostra a forma di pecorella, un’altalena. Le sacche dei corpi sono lì accanto, sotto due pini, dodici sacche verdi e bianche allineate lì dove giocavano i bambini del paese. A Pescara del Tronto il giardino d’infanzia è adesso l’obitorio, una morgue aperta sotto il cielo terso, in mezzo alle lacrime e alle macerie. L’unico posto in parte sicuro, perché non ha un tetto che possa crollare travolgendo tutto come ieri notte, dopo le tre, qui, a pochi chilometri dall’epicentro del terremoto.
«Ventisette morti accertati, forse trenta, ma domattina saranno di più, scaviamo con le mani, sentiamo rumori, è un borgo fantasma», dice a fine giornata Alessandro Petrucci, sindaco di Arquata, il paese al centro di questo tocco di valle del Tronto che ancora trema, e che conta tredici frazioni tra cui «Pescara», che era il «paese dei romani»: in tanti hanno qui la casa di vacanza, che era la casa dei nonni e non sarà la casa dei nipoti. Questo paese non ha più futuro.
A metà pomeriggio i parenti si affollano attorno al recinto. Un carabiniere s’accosta, timido, «qualcuno può riconoscere Elsa Baroni?», un uomo si fa avanti, singhiozzando guarda nel lenzuolo. Le ambulanze continuano a scaricare corpi, ne arriva uno in una tovaglia da tavola a fiori insanguinata, la mano che sporge appena. Le sacche diventano quattordici, diciotto... «Qualcuno può portare su il mio papà e la mia mamma?», invoca una ragazza, «sono sotto le macerie quaggiù... devo identificarli...». La burocrazia può diventare un antidolorifico, per pochi momenti.
Giovanni D’Ercole, il vescovo di Ascoli, è impietrito davanti alle salme, fa rapidi cenni di croce, s’accosta alle famiglie, ascolta. Un papà nella notte gli ha chiesto: «Perché? Perché Dio lo permette?». Il vecchio monsignore, che ha vissuto anche il sisma dell’Aquila, spalanca le braccia: «Dio perdona sempre, la natura violentata non perdona». Le case più antiche, case di pietra, sono venute tutte giù, qui sulla Salaria vecchia, che taglia il borgo e arriva al giardino della morte. Tutt’attorno, il paese è scivolato verso la valle, la collina è smottata.
Nonna Vitaliana è stata lesta, s’è buttata sui nipotini Samuele e Leone, 4 e 6 anni, li ha salvati con il suo corpo. «I bambini sono stati bravissimi», racconta un pompiere commosso: «Stavano sotto, non versavano una lacrima, ascoltavano le nostre istruzioni, hanno smosso le pietre con le manine». La nonna ora ha un femore spezzato, «dovevamo partire ieri!», il nonno non c’è l’ha fatta, è una delle vittime.
Questa è una storia di vecchi e bambini, com’era il paese. Ne hanno salvati tanti, all’alba, di bimbi, e loro stavano seduti qui, sul marciapiede della vecchia Salaria, addosso i teli dorati d’alluminio per dar loro calore. In cinque non ce l’hanno fatta. «Ci sono cinque bambini morti, al momento», dice ancora il sindaco Petrucci: «Uno di 9 mesi e uno di 14 anni ad Arquata, altri tre a Pescara del Tronto, ma davvero i numeri sono provvisori». Per arrivare al centro inghiottito dalla notte, bisogna arrampicarsi per le pendici della collina, in mezzo alle macerie. E le macerie raccontano brandelli di vita. «Nel raggio di 50 metri ho tirato fuori cinque morti», mormora un altro pompiere: sono loro, i Vigili del fuoco, come sempre, gli eroi di questi drammi. Ma accanto a loro sono tanti i volontari, pure i tifosi dell’Ascoli calcio. Gianni dice: «Ci sono decine di dispersi», qualche pompiere annuisce. La collina sventrata racconta l’orrore e la sorpresa della notte, dietro un muro caduto due bacinelle di fagioli, qui quelli puliti, lì quelli da pulire in una mattina che non è mai arrivata. Foto di Padre Pio. Un poster del mare con due sdraio. Pasta appena infarinata. Un dondolo, due trolley, una televisione spaccata, auto sventrate nelle strade.
Strade sommerse. Come gli esseri umani. Come Giuseppe, che ha salvato il papà Orfeo spezzandosi le mani a scavare. Come Stefania, morta a 42 anni a Capodacqua, un’altra frazione qui accanto, per fare scudo col corpo alla mamma novantenne. Come Barbara, tirata fuori grazie ai guaiti del suo cane ferito, ma trovata troppo tardi. Come Giorgia, 8 anni, liberata tra gli applausi dopo 13 ore. Come un papà tornato da Roma per salvare il figlio. Come Giorgio, che s’è salvato perché aveva bruciato il pollo della cena ed è sceso a valle dai genitori, e si maledice, perché cugino e zio sono rimasti su. Vincenzo se la prende coi suoi cani, che non hanno abbaiato per salvare il suocero, e forse maledice se stesso: «Non finiva più, il letto ballava, alla fine con mia moglie siamo usciti e attorno a casa nostra non c’era più nulla, nessuno». Più nulla e nessuno. Pescara del Tronto è un muro smozzicato con una porta che affaccia sul baratro. Poco prima delle otto di sera si sente un’altra scossa. Le tute gialle della Protezione civile si muovono nel buio. Nel freddo che cala. E nel silenzio rotto dai brontolii della collina.