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 2016  agosto 23 Martedì calendario

I Giochi si possono fare anche low cost. Il Brasile insegna

Valeu, Rio. Valeu, mondo. La città brasiliana saluta il luna park dei Giochi, i primi in Sudamerica, e sa di aver deliziato il pianeta con storie di sport e tuffi di speranza. Per come ci si era avvicinati a Rio 2016, il Brasile ha fatto un miracolo, merito forse della gambiarra, l’arte suprema di arrangiarsi, provare, fare qualche dribbling ai problemi, e sorridere. Merito di un Paese che si è stretto attorno al suo show e, se proprio non impeccabile, l’ha reso umano, così umano da far scorrere lacrime a fiumi.
Dovevano essere i Giochi del caos trasporti, della disorganizzazione, di Zika e dei furti: tutto è andato per il meglio in impianti belli e funzionali, anche se spesso un po’ vuotini (venduto l’82% dei ticket, meno che a Londra), funzionavano la connessione wi-fi e i trasporti, i taxisti un po’ meno. Il resto l’ha fatto una alegria contagiosa, un grande orgoglio e qualche Ainda nao (adesso no) che infastidiva un po’, ma si passava sopra.
Piove su Rio, gli impianti son chiusi e si apre il difficile dopo per il Brasile, che ha fatto uno sforzo sovrumano per tener fede alle promesse. Il sindaco Edoardo Paes ha dichiarato che per gli impianti sono stati spesi circa 2 miliardi di euro, di cui il 60% coperto da finanziamenti privati, e che il bilancio totale è di 8,5 miliardi di euro se si considerano anche le infrastrutture, bene primario in una città come Rio in cui, con queste opere, si passa dal 18 al 63% dei cittadini serviti dai trasporti pubblici. Il lascito c’è, i dubbi restano sul riutilizzo degli impianti e su come rientrare nella normalità con le casse vuote se l’economia non riprende almeno un po’ fiato. Senza dimenticare che Rio, con un passivo da 100 milioni, è attesa alla prova delle Paralimpiadi (7-18 settembre) e il presidente Philip Craven ha già messo le mani avanti: «Mai prima d’ora nei 56 anni di storia dei giochi paralimpici ci siamo trovati in una situazione così difficile». Forse, l’errore (azzardo?) fu scegliere Rio nel 2009, ma il Cio cerca sempre di allargare i confini olimpici. Come la Ue, d’altra parte: più Paesi nell’Unione fino a lambire la Russia ma tanti musi lunghi fra gli ultimi arrivati. 
Con questi Giochi low cost il Brasile dà una gran mano al movimento olimpico e alla mancanza di vocazioni per nuove candidature. Se è vero che si può organizzare – e Rio l’ha fatto – un’edizione con 8,5 miliardi significa che non si devono più temere le sciagure finanziarie che in passato hanno azzoppato Montreal e Atene. Meno lustrini ma Giochi veri, funzionali. 
È tempo di fare le valigie: dieci Paesi (Porto Rico, Costa d’Avorio, Kosovo, Giordania, Bahrain, Kuwait, Tagikistan, Vietnam, Singapore e Fiji) tornano in patria con il primo oro della storia, l’Italia con le sue 28 medaglie, specchio di un Paese di passione e sacrifici che spesso si dimentica quanto è grande e quello di cui è capace.
I brasiliani hanno fatto come meglio hanno potuto, sono riusciti a sbagliare la bandiera cinese (le stelle erano rivolte verso la parte sbagliata) ma ci han messo cuore, passione e ora, come in “Central do Brasil”, film del 1998 e candidato all’Oscar quale miglior film straniero, resta negli occhi la frase struggente che Doa, sulla via del ritorno a casa, scrive al piccolo Josué: «Tenho saudade de todo».