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 2016  agosto 23 Martedì calendario

Il denaro è tornato a fluire su Wall Street

Se tutti sono pessimisti su Wall Street, e a maggior ragione sulle Borse europee, e tutti dicono di vedere la bolla speculativa nelle elevate quotazioni azionarie e, dunque, (quasi) tutti dicono d’aspettarsi un crollo dei mercati, perché mai gli indici americani restano sui massimi storici e quelli europei non danno segni di cedimento? Anzi, a dispetto degli sbandierati timori, il denaro è tornato a fluire su Wall Street, come non si vedeva da parecchi mesi.
La risposta immediata sarebbe pensare che quel professato pessimismo sia un atteggiamento di maniera, un modo elegante per ammonire: ve l’avevamo detto.
Potrebbe essere così, visto che buona parte degli hedge fund, dopo aver perso soldi nei primi 6 mesi dell’anno, sono tornati a guadagnare nelle ultime settimane. E l’hanno fatto seguendo la vincente strategia usata tra il 2009 e il 2015: puntare sui titoli più reattivi (ad alto beta), che tutti comprano perché più “rischiosi” e perché tutti fanno così.
Una risposta più pensata suggerirebbe anche che Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank of America, Citi, Jp Morgan e parecchi altri broker, che negli ultimi giorni hanno ammonito sull’esuberanza dei mercati e sui rischi che incombono, non rappresentino «tutti» gli investitori. Infatti, accanto al continuo flusso alimentato dai buy back (acquisto di azioni proprie), gran parte della liquidità piovuta soprattutto su Wall Street è stata veicolata dai fondi passivi (Etf) di cui gli investitori al dettaglio (ma anche molti istituzionali) fanno largo uso. Ed è pure probabile che le gestioni di proprietà delle sopracitate grandi case non abbiano resistito a mettersi in tendenza, visti gli accresciuti volumi di opzioni e future sui listini americani.
Se le ragioni del ritrovato fermento poggiano su una condizione tutt’altro che nuova (i sempre più bassi tassi d’interesse praticati dalle banche centrali e il prolungamento della compiacente politica monetaria della Fed), la molla sarebbe la convinzione che sia arrivata al termine la tendenza negativa degli utili aziendali americani. Quest’ultima novità nasce dall’aver visto risultati del 2° trimestre migliori delle attese: un’impressione, più che una realtà, poiché utili in calo “solo” del 2,3% sono certamente meglio del -4,5% atteso a luglio, ma sempre meno di quanto ci si aspettasse mesi fa. E in ogni caso sono state peggiorate le stime di consenso per i prossimi trimestri, cosicché il 2016 si chiuderà con utili a crescita zero.
Il risultato è che il rinato ottimismo rende accettabili p/e (prezzo su utili) di 18,7 per l’indice S&P500 sul 2016 e utili normalizzati (come li calcola Robert Shiller dell’università di Yale) di 27, come mai si son visti, se non poco prima dello scoppio di una bolla speculativa: cosa che fa credere agli strategistdi Morgan Stanley e Goldman Sachs che siamo «nel momento più pericoloso per gli investitori». Tuttavia l’humus che rende rigogliosa questa esuberanza sta nel proseguimento della politica espansiva della Fed. Siccome mancano 3 giorni al tradizionale simposio di Jackon Hole, in cui Janet Yellen dovrebbe svelare il futuro della politica monetaria della banca centrale Usa, un poco di prudenza, come s’è vista ieri, non guasta. Il gioco delle parti vuole che i singoli membri della Fed (si veda Stanley Fischer 2 giorni fa) tengano in apprensione gli investitori ventilando imminenti rialzi dei tassi. Ma la ragione, quella di Stato soprattutto, impersonata dal presidente Yellen dovrebbe rassicurare i mercati per qualche mese ancora.