la Repubblica, 23 agosto 2016
E Shinzo Abe si traveste da super Mario Bross per Tokyo 2020. Perché i Giochi devono divertire
Non s’era mai visto in una celebrazione olimpica un primo ministro vestito da Super Mario Bros, con baffoni e cappello rosso. E per di più giapponese. Ma il premier Shinzo Abe ha sbaragliato tutti. Nemmeno la regina Elisabetta all’inaugurazione di Londra 2012 aveva osato tanto. Aveva semplicemente accettato di farsi riprendere mentre camminava nel corridoio a palazzo con Daniel Craig, interprete di James Bond. Ma i Cinque Cerchi viaggiano nel futuro. E per farlo devono perdere un po’ di sacralità, un po’ o molto di quella noiosa tradizione che da più di un secolo li veste con formalità.
I Giochi hanno bisogno di gioventù, modernità, nuova immagine. Di non aver paura di altri linguaggi, forme di divertimento, e di intrattenimento. Attraversare il regno dei Funghi per liberare la principessa Peach? Ma per carità, il Cio dieci anni l’avrebbe giudicata un’offesa alla memoria di Jesse Owens e di Fanny Blankers-Koen. Nessuno avrebbe accettato il riferimento culturale ad un nemico, ad un videogioco che appunto tiene gli adolescenti inchiodati con gli occhi e le dita.
Ma oggi è diverso: i Giochi giocano di più, sanno di dover interagire con un mondo digitale, con il web (è nato l’Olympic channel, piattaforma free), con nuove forme di comunicazione. Tutti diventano partners, non esistono più nemici, la distinzione diventa più fluida. Il mercato mondiale della gioventù fa gola a tutti. E come dice Thomas Bach, presidente Cio: «Dobbiamo andare noi da loro». A Tokyo 2020, seconda edizione in Giappone dal 1964, entreranno nuovi sport: surf, skateboard, arrampicata sportiva, karate e tornerà il baseball-softball. Qualcuno pensa che sia troppo “Giochi senza frontiere”, ma la contaminazione serve a non creare giardini esclusivi e a fare in modo che il popolo dei consumatori si senta dentro la tradizione del grande sport di De Coubertin e non fuori. Non siamo ancora al tele-voto, ma ci arriveremo.