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 2016  agosto 23 Martedì calendario

Processo a Ahmed al Faqi al Mahdi, il Tuareg che nel 2012 distrusse Timbuctù (e ora chiede scusa)

E così Ahmed al Faqi al Mahdi, un Tuareg del nord del Mali, uno dei capi del movimento fondamentalista islamico Ansar Dine, è riuscito a fare notizia, per non dire storia, due volte. La prima fu nel giugno-luglio 2012, quando i miliziani di An-sar Dine ai suoi ordini distrussero 9 antichi mausolei e una storica moschea di Timbuctù, tutti monumenti considerati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Una simile furia iconoclasta si era già vista nell’Afghanistan dei Taliban, mai però in Africa.
La seconda volta è stata ieri, quando chiamato alla sbarra davanti al Tribunale penale internazionale dell’Aia, Mahdi si è dichiarato colpevole ed anche profondamente pentito di quello che aveva fatto 4 anni prima e che il diritto internazionale considera crimini contro l’umanità. Anche questo non era mai successo al Tribunale dell’Aia: nessun imputato si era mai detto colpevole. Ecco le parole dell’accusato: «Sono davvero pentito, sono davvero pieno di rimorso e mi rammarico di tutto il danno che le mie azioni hanno causato». E ancora: «Vorrei dare un consiglio a tutti i musulmani del mondo: non vi lasciate coinvolgere in azioni come quelle che ho compiuto, perché non ne verrà alcun bene per l’umanità». Secondo gli esperti del Codice di procedura del Tribunale, la dichiarazione di colpevolezza dovrebbe portare a una rapida conclusione del dibattimento, forse già entro la settimana. La pena massima prevista è di 30 anni.
I fatti di cui Mahdi è accusato, attestati anche da documenti filmati, risalgono come s’è detto al 2012. Sulla scia della disgregazione del potere di Muammar Gheddafi in Libia, e come effetto dell’ondata di instabilità che si diffuse attraverso l’Africa saheliana, i Tuareg del nord del Mali dettero vita alla loro ennesima rivolta. Il potere centrale apparve subito impreparato a farvi fronte e le guarnigioni del nord caddero l’una dopo l’altra. Molto presto la ribellione assunse i connotati del fondamentalismo islamico e le fazioni più integraliste tra di esse Ansar Dine – ne assunsero la guida.
Timbuctù cadde nelle loro mani nell’ultima decade di marzo, e subito i capi del movimento armato proclamarono l’imposizione della shari’a: velo alle donne, lapidazione degli adulteri, mutilazione delle mani ai ladri. Il gioco del calcio, la musica (straordinario patrimonio del Mali contemporaneo), i bar, i videogame erano proibiti. La popolazione cristiana della città prese la fuga. Nei mesi successivi seguì la sistematica distruzione del patrimonio monumentale di Timbuctù, testimonianza del suo straordinario passato di capitale culturale dell’Islam africano: un faro che brillò per 500 anni dal Tredicesimo al Diciassettesimo secolo e la cui fama leggendaria aveva raggiunto l’Europa del Rinascimento.
La galassia delle milizie fondamentaliste che avevano assunto il controllo dell’intero nord del Mali implose poi in conflitti tra le varie fazioni, in un dedalo di alleanze, scissioni e ricomposizioni che non impedì loro tuttavia di continuare a mantenere il dominio sulla regione. Finché l’intervento militare francese del 2013 mise rapidamente fine al loro effimero regno, ma non all’instabilità che il Paese continua a conoscere ancor oggi. Mahdi fu catturato l’anno successivo e deferito al Tribunale penale internazionale.
Le cronache di questo processo senza precedenti hanno messo in risalto il suo contenuto di novità. È la prima volta che il Tribunale dell’Aia giudica un uomo accusato di crimini contro il patrimonio culturale. È la prima volta che sul banco degli imputati siede un militante islamista, non un signore della guerra, un generale o un ex capo di Stato. Ma dopo che Mahdi ha pronunciato la sua inaudita dichiarazione di colpevolezza, c’è un altro aspetto senza precedenti che colpisce. Chiedendo scusa al mondo e invitando i suoi fratelli di fede a non commettere gli stessi suoi errori, Mahdi ha implicitamente ammesso che lo zelo dei fondamentalisti contro un passato considerato «idolatra» – pur appartenendo alla più nobile tradizione islamica – non ha nulla a che vedere con il loro credo religioso. È un delirio ideologico e come tale va giudicato.