Corriere della Sera, 23 agosto 2016
Quei 18 giorni che sconvolsero il calcio spagnolo
Nella primavera del 2011, nel giro di soli 18 giorni, Barcellona e Real Madrid si sfidarono quattro volte: in campionato, nella finale di Copa del Rey e nei due atti della semifinale di Champions League. Real-Barça non è mai stata una partita banale: da sempre protagoniste della Liga spagnola e del grande calcio internazionale, le due squadre sono divise non soltanto da una fiera rivalità sportiva – profonda per i modi diversi e contrapposti di intendere il calcio – ma anche culturale e politica, altrettanto viscerale per le motivazioni che i due club, dal presidente all’ultimo dei magazzinieri, sanno rigenerare a ogni appuntamento sul campo.
Da una parte c’è il Real, che già nel nome racchiude la sua essenza di squadra di e del potere castigliano; dall’altra il Barcellona, che fa da bandiera alle spinte separatiste di un’intera regione, tanto da essere definito dallo scrittore supertifoso Manuel Vázquez Montalbán «l’esercito disarmato della Catalogna». Tra Madrid e Barça, insomma, la sfida è totale, come raramente capita di vedere a certi livelli in altri Paesi del mondo; eppure, in quella primavera del 2011, lo scontro calcistico-ideologico assunse contorni parossistici e livelli di contrapposizione persino esagerati. E accadde soprattutto per la presenza, sulle rispettive panchine, di due fra i più celebrati e famosi allenatori del mondo, José Mourinho sulla sponda Real (alla sua prima stagione merengue, dopo la fuga dall’Inter con cui aveva vinto il Triplete) e Josep Guardiola su quella barcellonese (orgoglio catalano e maglia blaugrana cucita sulla pelle). Mou e Pep, ovvero il diavolo e l’acquasanta: due tecnici che una volta, forse, erano amici e che ora, di sicuro, non riescono proprio a sopportarsi.
Da questo rapporto imperfetto tra due personalità di evidente forza e intelligenza muove il racconto che Paolo Condò fa di quei 18 giorni che sconvolsero il calcio spagnolo ( I duellanti, Baldini & Castoldi, in uscita dopodomani, 25 agosto), nei quali Real-Barça non si limitò a una partita fra grandi squadre e grandi giocatori (Cristiano Ronaldo, Messi, Xavi, Iniesta, Sergio Ramos, Di Maria…), ma debordò in un’acre sfida giocata dai due tecnici a colpi di parole, sguardi diagonali e sgarbi clamorosi.
Condò, columnist della «Gazzetta dello Sport» e opinionista di «Sky Sport», studia calcio dai suoi esordi giornalistici (tanti testi sacri, ma soprattutto molto scarpinare e scavare dentro gli eventi in ogni parte del mondo), ne ha appreso storia e meccanismi, conosce i suoi protagonisti, le loro manie e le paranoie, i trucchi e talvolta i colpi bassi con cui si preparano i grandi appuntamenti. Del suo giudizio ci si può fidare: Guardiola, maestro di calcio come pochi, patisce terribilmente il confronto dialettico con lo straripante e chirurgico Mou, nonostante i risultati sul campo siano quasi sempre dalla sua parte (per inciso: in quel 2011 il Barça vinse Liga e Champions). Furono proprio quei 18 bollenti giorni spagnoli a spingere un esausto Pep verso l’idea di un rigenerante anno sabbatico, mentre l’altro continuava imperterrito a costruire la sua (contraddittoria) leggenda.
Condò ha anche una teoria precisa sul perché Mourinho veda rosso tutte le volte che affronta Guardiola, portando a livelli stratosferici le sue già innate attitudini mediatiche. Non la sveleremo, ovviamente, per non togliere al lettore il gusto di godere di un saggio sportivo che appassiona come un romanzo e che anticipa, potenza teatrale del calcio, i giorni di Manchester, nuovo terreno di scontro del duello più acido del football mondiale.