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 2016  luglio 30 Sabato calendario

Franco Caltagirone spiega come sta ridisegnando il suo impero fatto di cemento, giornali e partecipazioni finanziarie. Intervista

A settantatré anni ha messo a segno una doppietta degna del Totti degli anni d’oro. Un uno-due da Champions visto che si tratta di «colpi» in Europa: prima l’acquisizione degli asset belgi di Heidelberg Cement, poi, giovedì, l’ingresso al 3,5% nella multinazionale francese Suez in cambio del 10,85% di Acea. Francesco Gaetano, «Franco», Caltagirone ridisegna il suo impero fatto di cemento, costruzioni, immobili, giornali e partecipazioni finanziarie e lo fa dandogli un’impronta sempre più internazionale. Meno Italia, più Europa. «Novant’anni fa – racconta nel suo ampio ma sobrio ufficio al sesto piano del palazzo senza targa di via Barberini dove ha sede la holding – la mia famiglia è arrivata a Roma dalla Sicilia, il grande salto sul Continente. Ora il nostro orizzonte è europeo, pur rimanendo profondamente italiani».
Ingegner Caltagirone, quanto pesa oggi l’estero sull’insieme delle sue attività industriali?
«Oltre il 40%. Credo che nella creazione di un mercato europeo debbano esserci anche imprenditori italiani che vanno all’estero e non solo stranieri che vengono a fare shopping da noi».
Dove state crescendo?
«Abbiamo tre attività “core”. Nello sviluppo immobiliare propriamente detto lavoriamo molto in Spagna e in Turchia. In Italia nei grandi lavori siamo in forte riduzione, in compenso abbiamo vinto una gara molto importante a Stoccolma. Nel cemento l’Italia valeva fino al 2000 il 100% delle nostre attività. Oggi si è ridotta al 10%. Nel cemento bianco siamo i numeri uno al mondo, con impianti in 16 Paesi: dalla Malesia a Cina e Danimarca».
E Suez?
«Abbiamo entrambi la volontà di fare sinergie, ad esempio nella costruzione di grandi infrastrutture come dighe e acquedotti. Ci riserviamo di salire fino al 6%. Avremo un posto in cda».
Vianini ha una nuova mission: di che si tratta?
«Opererà nel comparto delle locazioni immobiliari residenziali, gestendo 2.200 appartamenti. Negli altri Paesi europei ci sono società che gestiscono anche 30 mila appartamenti. Da noi è un settore vergine che avrà una notevole crescita. Eravamo pronti a impegnarci nello sviluppo immobiliare a Londra. Poi con la Brexit è andata come è andata».
Questa espansione all’estero proseguirà?
«Sì. Ci interessano energia, ambiente e gestione dei rifiuti: Italia esclusa. E cresceremo ancora nel cemento».
Trattative aperte?
(Caltagirone spalanca un sorriso sornione) «Gli affari si raccontano quando sono fatti».
Lei sbarca in Francia e ridimensiona la partecipazione in Acea. Ha a che fare con l’arrivo della sindaca Virginia Raggi a Roma?
«Non è così. Questo è un accordo che parte da lontano: è da un anno che ci stiamo lavorando».
Cosa è successo a Roma?
«Quello che veniva chiamato modello Roma non poteva più andare avanti. Dopo Veltroni feci una dichiarazione pubblica dicendo che ci voleva discontinuità. E in effetti vinse Alemanno al ballottaggio».
Non è stato un successone.
«Noi eravamo contrari alla continua manipolazione del piano regolatore, alle incrostazioni delle lobby: dopo 18 anni di potere dello stesso colore erano arrivati a soffocare la libera concorrenza. Però, in effetti, con Alemanno la discontinuità non c’è stata».
Poi è arrivato Ignazio Marino.
«Il vecchio Pd ha cercato con Marino di rinnovare la situazione, ma poi Marino gli è sfuggito di mano. L’ex sindaco non era certo un nostro fan, ma quando abbiamo verificato la sua indipendenza, il mio giudizio su di lui è cambiato. Stava facendo pulizia proprio delle incrostazioni che avevamo denunciato. Così ha subito la violenta reazione di tutti i centri di potere e affaristici della città. Purtroppo Marino non aveva una squadra efficiente. E Roma per essere governata ne ha assoluto bisogno. Serve una squadra come in una grande azienda».
E ora c’è la Raggi con i grillini.
«La Raggi ha avuto un consenso plebiscitario. Potrebbe essere un’occasione per eliminare le incrostazioni che tanto male hanno fatto a Roma. Avrà lo stesso problema di squadra e di efficienza. Sta a lei».
Allora nei suoi confronti nessun pregiudizio?
«Chiunque contribuisca a salvare Roma avrà il nostro appoggio. Per mia natura amo giudicare, non pregiudicare. Aggiungo anche un’altra cosa».
Cioè?
«Quello che è successo è conseguenza del fatto che gran parte del Pd romano, al di là delle apparenze, è stato troppo lento ad affrancarsi dal retaggio dell’ideologia marxista, nonostante siano passati vent’anni dalla caduta del Muro».
Il futuro di Roma la preoccupa?
«La città ha visto l’esodo di tutta la finanza, della moda, di parte del cinema, la riduzione per motivi di bilancio del peso della pubblica amministrazione. Se nei prossimi anni non rilancerà la produzione di ricchezza, avrà problemi seri. A Roma bisogna ripristinare i meccanismi di mercato. Moneta cattiva caccia moneta buona. Gli imprenditori buoni se ne andranno. Non possiamo pensare che faccia tutto la procura».
A proposito di ingerenze della politica: che pensa della parabola del Montepaschi, lei che ne è stato a lungo importante azionista?
«Nel Monte dei Paschi il gruppo ha perso denaro. Io mi ero affezionato a questa banca, l’istituto più vecchio del mondo. Alla fine fra provincialismo e clientelismo si è giocato la sua meravigliosa eredità. Un peccato».
Ce la farà?
«Sulla carta sembra che le condizioni ci siano».
Con l’1% lei è un importante azionista di Unicredit. Soddisfatto del lavoro realizzato dal nuovo ad Jean-Pierre Mustier?
«Dopo un periodo di espansione, le aziende hanno bisogno di un consolidamento che non può essere eterno. Federico Ghizzoni, che è un’ottima persona, ha gestito questa fase. Mustier ha prontamente rimosso e modificato la prima linea. Credo che ci siano i presupposti per riprendere il suo cammino. Servono poi un aumento di capitale e qualche cessione di peso da fare con grano salis. I gioielli di famiglia non vanno ceduti».
Parteciperebbe all’aumento?
«Dipenderà dalle condizioni di mercato».
È comunque intenzionato a crescere in Unicredit?
«Non lo escludo».
E Generali, dove è vicepresidente vicario e secondo azionista con il 3,4%?
«Mario Greco ha fatto molto bene, ha dato rigore e spunti di crescita, oltre a selezionare manager di prima grandezza come il suo successore Philippe Donnet. Sul nuovo amministratore delegato ripongo fiducia. Credo che possa far bene».
Crescerà ancora in Generali?
«Non lo escludo. Dipende dalle occasioni. Continuo a guardarla con grande attenzione».
Che giudizio dà del lavoro di Renzi sul fronte bancario?
«Sulle banche si sta muovendo con decisione. Una delle cose che più apprezzo di questo governo è che di nuovo esistiamo in Europa».