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 2016  luglio 30 Sabato calendario

L’amore duro tra i regolatori europei e le banche italiane

Amore duro. Inglesi e americani che hanno imposto la propria cultura ai mercati finanziari lo chiamano esattamente così: tough love.
Che sia davvero amore, nel rapporto fra i regolatori europei e banche o autorità italiane, è molto dubbio. Che sia duro no. Eppure questo trattamento spietato di un lungodegente in modo da obbligarlo ad alzarsi dal letto – un «amore» minaccioso e inflessibile – almeno per chi lo pratica restando seduto a Bruxelles o a Francoforte funziona a meraviglia.
Gli arbitri europei ne trarranno il convincimento che devono continuare così anche con le prossime banche. Aver imposto il rischio imminente di fallimento su Popolare Vicenza e Veneto Banca – con relativi colpi di falce su creditori e depositanti -, aver bloccato a lungo la fusione fra Banco Popolare e Popolare Milano, aver messo Monte dei Paschi spalle al muro, ha prodotto dei risultati: nove miliardi in più di capitali privati in pochi mesi per rafforzare il sistema bancario italiano nei suoi punti di giuntura più fragili. Uno e mezzo per Vicenza e Banco Popolare, uno per Veneto, e ora se ne aspettano cinque per Siena in autunno. Fa circa un quarto delle risorse che mancherebbero al sistema bancario italiano in questi anni.
Visto dall’Italia, sembra un modo un po’ brutale per forzare un Paese riluttante a fare la pulizia di cui ha bisogno. Ma l’Unione bancaria, formatasi nel fuoco della crisi dell’euro, è un ingranaggio squilibrato e micidiale. Nel caso Montepaschi, è stato deliberatamente innescato il rischio di una crisi sistemica in modo obbligare l’istituto a risanarsi il prima possibile pur di evitarla. L’Autorità bancaria europea ha calcolato che Siena perderebbe tutto il proprio patrimonio nello scenario (ipotetico) di una recessione a cui l’azienda non dovesse reagire in alcun modo. Su questa base immaginaria, la Banca centrale europea si prepara a prescrivere per Montepaschi una cura di capitale e gli chiede di liberarsi in tempi rapidi di tutti i suoi crediti in default. Nel frattempo il Consiglio unico di risoluzione di Bruxelles si tiene già pronto a staccare la spina all’istituto (con relative, profonde sforbiciate sui risparmiatori e rischi di panico attorno ad altre banche), se questo non ottemperasse. Eppure la via di una ricapitalizzazione con denaro pubblico, spesso usata in anni recenti in Europa e negli Stati Uniti, è di fatto preclusa: le nuove norme europee implicano quantomeno molta incertezza per i piccoli obbligazionisti – dunque il rischio di un danno politico per il governo – e perdite del 90% per i grandi investitori, dunque la probabilità di una fuga di capitali e una nuova tempesta finanziaria. Senza però avere a disposizione nessuna delle reti di sicurezza di risorse europee promesse dall’Unione bancaria, ma mai deliberate.
Così si è dovuta trovare l’unica risposta possibile con risorse private. E non c’è dubbio che alla banca servano. Ci sarà un aumento di capitale coordinato dai gruppi americani JpMorgan e Goldman Sachs, mentre Mps viene assistito da Lazard. Prima ancora il governo ha spinto con forza banche, assicurazioni, casse di previdenza in Italia a partecipare a un fondo («Atlante») che ricompra i crediti cattivi da Montepaschi a prezzi più generosi di quanto chiunque accetterebbe in condizioni normali. Tutti si sono piegati, perché la degenerazione di una crisi di debito è evitabile solo distribuendone le perdite (in attesa, forse, di profitti futuri su quegli stessi prestiti).
Si discuterà ora se questa risposta non rischi di indebolire anche gli istituti sani in Italia, per salvare i malati. Se metodi meno ruvidi dei regolatori Ue non avrebbero evitato un crollo di Borsa del 54% delle banche italiane o del 42% delle banche dell’area euro in un anno, con relativa stretta al credito. Ci si può chiedere perché l’amore dell’Unione bancaria non sia stato fin qui altrettanto duro per le banche tedesche. In Germania l’80% del sistema gode di un «Programma istituzionale di protezione» dello Stato senza che ciò inneschi rischi sui risparmiatori o venga messo in discussione da Bruxelles. A sette grandi banche tedesche o quasi tutte le medie e piccole si permette di usare un metodo di contabilità proprio, diverso da quello usato da chiunque altro. E i problemi evidenti di Deutsche Bank sono stati messi a nudo prima dalla Federal Reserve a New York che dalla Bce a Francoforte. Eppure la Schadenfreude, la gioia per i guai altrui, non ha mai portato molto lontano. L’amore di Bruxelles e Francoforte per il sistema bancario italiano e le sue autorità sarò sì duro. Se non altro però è fedele: riflette alla perfezione il livello minimo di fiducia e di spirito costruttivo che oggi prevale in tutta l’area dell’euro.