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 2016  luglio 30 Sabato calendario

Perché a Roma i rifiuti restano nelle strade

Il sistema Rifiuti Roma – zoppo e arcaico, fragile e costoso, pensato per quarant’anni per alimentare inceneritori e discariche, e le capienti tasche dell’imprenditore Manlio Cerroni (parole del presidente dimissionario dell’Azienda municipalizzata ambiente, Daniele Fortini) – oggi funziona come un trapezista grasso senza rete. Non esiste una discarica dove portare il 58 per cento di raccolta indifferenziata – dice l’Ispra che il 42 per cento dei rifiuti della capitale, duemila tonnellate il giorno, sono invece recuperabili, ma l’assessore all’Ambiente, Paola Muraro, mette in discussione il dato ogni giorno – e non esiste un impianto d’area dove il talquale torni un prodotto da immettere sul mercato: plastica, vetro, gas. Resta talquale, maleodorante e da allontanare.
LA SPAZZATURA ESPORTATA
Dei sei siti della municipalizzata Ama esistenti a Roma e provincia, due soli trattano i rifiuti, ma giusto per trasformarli in nuovi rifiuti. Meno ingombranti e meno inquinanti, comunque da spedire lontano dalla capitale insieme ai rifiuti trattati dai privati. Nel resto del Lazio, in altre nove regioni italiane, in tre stati europei: Portogallo, Romania, Bulgaria. I rifiuti indifferenziati di Roma – 3.000 tonnellate prodotte ogni giorno – vanno in sessantadue impianti lontani: un viaggio antieconomico, pericoloso, messo ogni giorno a rischio da qualsiasi incidente possibile. Una discarica sequestrata dalla magistratura o fermata da un controllo ambientale, uno sciopero dei trasporti. Solo l’Ama, la municipalizzata romana, appunto, muove 183 camion bilici ogni giorno per portare spazzatura nel resto d’Italia. La capitale potrebbe guadagnare da ogni sacchetto di concime venduto a casa sua e invece spende 79 euro per ogni tonnellata portata al cancello dell’impianto convenzionato in provincia di Pordenone – tratta compost – e 40 euro per ogni tonnellata trasportata 620 chilometri distante.Il sistema Rifiuti Roma è fortemente precario perché alla grande conquista consumata tra i sindaci Alemanno e Marino – la chiusura del più maleodorante buco d’Europa, Malagrotta, 240 ettari pari a trecento campi di calcio – non è fin qui seguita la fase due: il recupero in grande scala, la costruzione del sempre citato ecodistretto nella mitica Rocca Cencia, Prenestina, quartiere Borghesiana che tra case abusive ospita i ritiri delle nazionali di calcio.
IL SISTEMA FRAGILE
L’ultimo casus, che ha riportato in estate inoltrata i sacchetti della monnezza nelle strade di Roma – la capitale per tradizione non arriva mai alle emergenze di Napoli, alle crisi di Palermo, resta sempre in bilico sul disastro –, è stata la chiusura della discarica di Frosinone. Una delle tre fondamentali per l’Ama: accoglie la spazzatura fresca, non solo quella semitrattata nella capitale. Il 16 maggio scorso l’impianto meccanico-biologico di Frosinone in mezz’ora ha smesso di funzionare: 300 tonnellate di rifiuti sono stati respinti. Visita di controllo della Regione, materiali in uscita non coerenti con quanto dichiarato: blocco dell’impianto. Contestazioni dei gestori della Saf, controanalisi. E così, fino al 27 giugno (fanno 42 giorni), Frosinone ha fermato ogni attività. Gli autocompattatori della municipalizzata di Roma sono stati dirottati sui quattro impianti della capitale che possono trattare (e rimandare fuori) e sulle discariche più vicine già sotto contratto.Non stavano bene di loro, però, gli impianti romani. I due dell’Ama ricevono rifiuti allo stato puro e restituiscono fanghi maleodoranti da stabilizzare, ma da tempo lavorano a scartamento ridotto. Dal 2006 il polo di Rocca Cencia – sì, il pluricitato ecodistretto del futuro – è convenzionato per trattare 750 tonnellate il giorno: viaggia sulle seicento. E così l’impianto di selezione e produzione di combustibile del Salario, questo alla periferia nord della città: ha una capacità di 750 tonnellate il giorno, ma nel 2015 è rimasto chiuso sei mesi per un incendio doloso (un altro strano incendio, a Roma, ha riguardato l’impianto di Albano) e oggi macina – in maniera straordinariamente puzzolente – poco più della metà del previsto. Il termovalorizzatore dei rifiuti ospedalieri di Ponte Malnome, ancora, è fermo da aprile 2015, l’impianto di selezione multimateriale di via Laurentina ha una capacità di 70 tonnellate ma ne lavora 40. Macchinari vecchi, incendi, traffico inadeguato per le strade che servono gli impianti. Il risultato è che i camion respinti da Frosinone per 42 giorni si sono dovuti mettere in coda agli ingressi dei Tmb romani e, aspettando in media un’ora per scaricare il contenuto, non hanno potuto effettuare il secondo giro di raccolta in città. Dove i sacchetti sono tornare a crescere nelle strade.
LE VENDETTE DI CERRONI
In questo imbottigliamento malsano di 2.200 mezzi della municipalizzata romana, c’è stato spazio di manovra per le vendette del grande vecchio. Manlio Cerroni, il Supremo gestore del rifiuto romano che dopo nove sindaci e cinque commissari tenuti sotto scacco (dal 1975 a Ignazio Marino), a 90 anni minaccia di andare a lavorare all’estero: può contare, d’altronde, su 114 discariche nel mondo. Da noi l’uomo deve difendersi da una lunga serie di contestazioni penali e di fronte alle richieste d’aiuto dell’Ama di Fortini si è ricordato che nelle ultime tre stagioni il Comune di Roma gli aveva chiuso Malagrotta e non gli versava più una stilla di talquale nell’impianto (questo privato) di Rocca Cencia. Ha deciso, allora, di prendersi poche tonnellate per cinque giorni e poi liquidare Fortini: non possiamo più, mandate altrove.
Ora, con l’azienda Ama che in tre anni ha ridotto di cinque punti l’assenteismo e alzato di quindici i mezzi in circolazione, il suo presidente – sotto l’assedio della giunta 5stelle – è pronto all’addio: dimissioni annunciate per il 4 agosto. Il sindaco Virginia Raggi assicura: «La vecchia Repubblica ci sta attaccando, era previsto, ma il 20 agosto Roma sarà pulita».