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 2016  luglio 29 Venerdì calendario

Separare profughi ed estremismo con la superiorità della democrazia. Il metodo Merkel

Asilo ai rifugiati e terrorismo islamico sono due cose diverse, separate. È per dire questo ai tedeschi e agli europei che ieri Angela Merkel ha interrotto le vacanze e tenuto una conferenza stampa a Berlino.
Ha ribadito che «ce la facciamo», frase che ripete da un anno, da quando ha aperto le frontiere della Germania (e dell’Europa) ai profughi in fuga dalla Siria.
E in parallelo ha ovviamente registrato che l’ondata di terrorismo è una minaccia che non risparmia alcun Paese, nemmeno il suo, e che ci sono nuove misure da prendere. Dure, come alcune di quelle contenute nel piano in nove punti che ha annunciato. Ma ha voluto distinguere e invitare a un esercizio di lucidità. Non facile in questo momento. Ma probabilmente necessario.
La cancelliera ha per la prima volta parlato di «guerra». All’Isis. Come avviene in tutte le guerre, dunque, Berlino intensificherà le misure per difendere i cittadini, per cercare di individuare i «nemici» prima che colpiscano e per metterli in condizione di non nuocere, con espulsioni o altre misure coercitive. Nella frase stessa in cui ha introdotto il concetto di guerra ha però precisato che il nemico non è una religione, non è l’Islam, che in quanto tale non ci ha dichiarato uno stato di belligeranza, esplicito o implicito. La guerra è contro l’Isis, le sue quinte colonne in Europa, i solitari che a esso fanno riferimento.
Frau Merkel continua a essere convinta che il terrorismo abbia una matrice politica e ideologica, che sia una scelta soggettiva. E che su quel terreno vada battuto: uno dei modi è distruggerlo fisicamente; un altro è dimostrare alla comunità dei musulmani in fuga da Paesi devastati dalla furia dei radicali islamici la superiorità della democrazia. Soprattutto, la forza di quest’ultima e della società aperta, in grado di sconfiggere il totalitarismo che vuole rifarsi a una religione così come hanno sconfitto i totalitarismi politici del Novecento.
Non è una scelta semplice. È un invito all’opinione pubblica tedesca a tenere i nervi saldi anche dopo gli attentati dei giorni scorsi: il terrorismo si combatte come in guerra ma il diritto d’asilo è una cosa diversa (fatto salvo ovviamente individuare i terroristi che si nascondono tra i rifugiati).
E allo stesso tempo è un invito agli europei a fare la stessa distinzione: la guerra si vince nella chiarezza del sapere chi è il nemico, non nella confusione delle frasi altisonanti e dei richiami illiberali. Il fatto stesso che la leader tedesca non sia accorsa immediatamente a Würzburg e ad Ansbach – i luoghi degli attentati in Germania – ma abbia voluto parlare in pubblico giorni dopo è un modo per dire che anche in un momento grave non si deve perdere la testa.
La domanda è se la Germania e l’Europa ce la possano fare a tenere gli occhi asciutti e allo stesso tempo dare una risposta risoluta al terrorismo islamico. Non è affatto scontato. La cancelliera ha proposto ieri un metodo e un contenuto al resto del Continente, per tenerlo unito.