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 2016  luglio 28 Giovedì calendario

Erdogan ha chiuso 130 tra giornali, tv e radio

Il pugno di ferro del “Sultano” si è abbattuto nuovamente su ciò che resta della libertà di stampa in Turchia. Dopo i militari, i magistrati, i rettori universitari e alcuni ambasciatori è toccato al “quarto potere” fare le spese di una pericolosa spirale repressiva senza confini che sta allontanando sempre più la Turchia dall’Europa e dallo stato di diritto secondo le teorie di Montesquieu sulla divisione dei poteri.
Una retata di polizia in tutta la Turchia ha eseguito ieri mandati di arresto per altri 47 giornalisti e personalità critiche del governo guidato dall’Akp, il partito filoislamico di Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2002. Retate che si aggiungono ai 45 arresti di giornalisti dell’altro ieri.Inoltre nella tarda serata di ieri è giunta notizia della chiusura da parte delle autorità turche di 16 reti televisive, 3 agenzie di stampa, 23 radio, 45 giornali, 15 magazine e 23 case editrici. In totale sono oltre 130 media sono stati chiusi in Turchia in risposta al fallito golpe militare di venerdì 15 luglio. Lo riferisce il quotidiano turco Hurriyet, bandiera della laicità del paese, diffondendo i dettagli di un decreto sullo stato di emergenza. Tra i media chiusi ci sono l’agenzia Cihan, il quotidiano Zaman e la tv Kanalturk. Un vero e proprio colpo di maglio sulla libertà di stampa sul Bosforo che non può lasciare indifferenti gli osservatori internazionali.
Le autorità turche hanno emesso mandati d’arresto nei confronti di altri 47 giornalisti per presunti legami con la rete di Fethullah Gulen, accusato da Ankara del fallito golpe, sebbene il predicatore oggi residente in Pennsylvania abbia sempre smentito ogni coinvolgimento nel tentato colpo di stato. Tra i giornalisti, ci sono molti ex reporter del quotidiano Zaman, sequestrato a inizio marzo e chiuso dalla polizia con la forza nonostante le vibrate proteste di molti manifestanti davanti alla sede del giornale a Istanbul.In manette è già finito il noto editorialista Sahin Alpay. Della lista fanno parte anche gli ex direttori dell’edizione inglese del giornale, Bulent Kenes e Sevgi Akarcesme.
Una pagina nera della liberta di stampa in Turchia che segue altre vicende di repressione come quella avvenuta il 7 maggio scorso quando il mondo aveva assistito in diretta tv prima a un fallito agguato con colpi di pistola a Cam Dundar e poi alla successiva condanna giudiziaria al direttore del quotidiano di opposizione Cumhurryet. Il direttore Can Dundar insieme al suo capo redattore Erdem Gul erano stati condannati a cinque anni e 10 mesi dopo aver scontato 92 giorni di carcere per uno scoop sul passaggio di armi a ribelli in Siria con un automezzo dei servizi segreti turchi. La pubblicazione della notizia è costata ai due coraggiosi giornalisti, oltre al carcere preventivo, l’accusa di spionaggio, minaccia alla sicurezza della Turchia e appoggio a gruppi terroristici.
Che il presidente Erdogan sia deciso ad andare fino in fondo nei confronti dei seguaci di Gulen è ormai accertato. Reintrodurre la pena di morte in Turchia è la «volontà» della popolazione, ha dichiarato il presidente turco, che nel corso di un’intervista rilasciata martedì all’emittente tedesca Ard è tornato sulla possibilità di ripristinare la pena capitale per i golpisti, sostenendo che viene applicata «quasi ovunque» eccetto che in Europa. «Se siamo in uno Stato di diritto democratico è il popolo a decidere. E cosa dice la gente oggi? Vuole che la pena di morte sia reintrodotta», ha affermato Erdogan. «L’Europa – ha aggiunto – è l’unico posto dove non c’è la pena di morte, che invece esiste quasi ovunque».
Posizioni che sono state registrate con preoccupazione nelle cancellerie europee compresa Roma. Il giorno successivo alla notte del fallito golpe in Turchia «abbiamo cominciato a prendere le distanze dalla reazione» del governo, «che è comprensibile, ma è apparsa a tutti spoporzionata, e con il passare dei giorni pericolosa». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, nel corso di un’audizione alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato sul vertice Nato di Varsavia. Gentiloni ha sottolineato le «violazioni nei confronti dei principi dello stato di diritto».Gli ultimi avvenimenti sulle chiusure di media e gli arresti di giornalisti in Turchia non faranno che aumentare le preoccupazioni a Bruxelles e in Europa.