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 2016  luglio 28 Giovedì calendario

Chelsea, Juve, Real: tutti vogliono Antonio Pintus

Questa è una storia che comincia nel 1972 all’oratorio San Giuseppe Artigiano di Settimo Torinese e finisce dalle parti di Cristiano Ronaldo.
Dall’ombra delle case del Villaggio Fiat, periferia operaia quando ancora esistevano gli operai e la Fiat, fino al Real Madrid, la squadra di calcio più importante al mondo. Questa è la storia di Antonio Pintus, il bambino che aveva il vento nelle gambe. Antonio ha sempre corso tanto. Era il più piccolo della compagnia, uno scricciolo che però al primo giro di campo (sterrato, e se pioveva fangoso) del Grest, cioè i giochi estivi per i bambini che trascorrevano la torrida stagione nella città dormitorio (allora: ora non più, ora Settimo si è candidata addirittura come città europea della cultura, mica sono soltanto gli affreschi e le cattedrali, la cultura) già era in fuga, lontano, un puntino all’orizzonte verso la porta da calcio davanti al muro dell’asilo. Si chiamavano “gare di resistenza”, erano maratone liofilizzate sotto il campanile e Antonio le vinceva tutte. Aveva i calzini abbassati sulle caviglie, sembrava un mezzofondista mignon degli altipiani, però bianco. E quando la corsa finiva, tutti i bambini stremati si strappavano il fiotto d’acqua della fontanella e invece Antonio no. Lui non sudava, lui non soffriva. Lui, semplicemente, volava nel vento.
Andò a scuola, come tutti, col torpedone che partiva all’alba. Era un viaggio, a quel tempo, da Settimo a Torino. Nel buio invernale, masticando la voglia di fuggire da lì, sugli scossoni dell’autobus ognuno costruiva il proprio destino. Si laureò all’Isef e la sua tesi vinse il premio Coni: la migliore d’Italia. I preparatori atletici cominciarono ad occuparsi di quel piccoletto secchione, gentilissimo, timidissimo. Il professor Claudio Gaudino gli chiese se gli sarebbe piaciuto lavorare con lui alla Juventus e Antonio rispose: «di corsa». Del resto, il suo habitat naturale. Con il lavoro serio, scrupoloso, meticoloso, Antonio Pintus si guadagnò la stima di molti calciatori bianconeri poi diventati allenatori: è bello che il nostro lavoro, e solo quello, parli di noi, parli per noi.
Vialli gli propose di seguirlo al Chelsea e lui, ovviamente, lo fece di corsa. Di corsa seguì Deschamps al Monaco (al culmine del viaggio, una finale di Champions persa contro il Porto di Mourinho dopo avere eliminato proprio il Real Madrid: ogni storia è solo un grande cerchio), di corsa è tornato, sempre con Deschamps, alla Juve nel campionato di B, di corsa sembrava aver raggiunto il suo capolinea al Lione. Ma chi corre da una vita non smette mai di farlo. Ed ecco che Zizou Zidane prende il cellulare e chiama Antonio. «Ehi, vuoi venire al Real?». «Di corsa». Lo avrà detto spalancando i suoi occhi chiari da bimbo, e con la voce che trema un po’. E adesso eccolo qui, a spiegare a Cristiano Ronaldo (quando guarirà dall’infortunio francese delle lacrime) come correre meglio, come correre di più, e anche a Bale. Due campioni con il vento nelle gambe, proprio come un bambino che a Settimo Torinese quel vento l’aveva anche nell’anima. E ce l’ha ancora, perché è lì dentro che tutto si spiega e ha senso, è nell’anima che nulla mai smette di accadere.