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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Il calcio visto da un arbitro. Intervista a Fabio Maresca

Il calcio vissuto da un’altra prospettiva. Quella in cui Davide quasi mai riesce a battere Golia. Il destino degli arbitri è spesso ineluttabile: da soli contro 20 telecamere che riprendono l’azione da qualsiasi angolatura. Loro, invece, decidono in una frazione di secondo a velocità normale. Colpo d’occhio, istinto, esperienza e feeling con assistenti e addizionali: sono queste le armi per fare la scelta giusta e limitare gli errori. «Ma quando sbagliamo, noi soffriamo». Fabio Maresca, 35anni napoletano, è uno degli interpreti principali della new generation dei fischietti italiani: ha vinto il premio Giorgio Bernardi, è stato promosso a pieni voti da Stefano Farina alla Can di A.
Maresca, finite sempre tra le polemiche...
«Mi dispiace tanto. A volte si parla di più di una nostra disattenzione che del gesto tecnico di un campione. Negli altri paesi non è così. C’è una cultura diversa».
Qual è il sentimento dopo un errore?
«Spiace tanto. Ne veniamo a conoscenza dopo la partita. Una settimana intensa di lavoro rischia di naufragare se c’è stata una decisione sbagliata».
La tecnologia?
«Siamo aperti alle innovazioni che possano aiutarci. Se ci sarà la sperimentazione sulla VAR (video assistant referee, ndr), noi saremo pronti».
Ci racconti il suo approccio al match.
«Curo tutti i dettagli, a cominciare dall’alimentazione. Il giovedì, dopo la designazione, comincio a preparare la gara studiando le squadre. Abbiamo un server che ci consente di vedere tutte le partite integralmente oppure di selezionare singoli momenti di un match.
In campo come si comporta?
«L’arbitraggio a questo livello è soprattutto psicologia. Bisogna leggere bene i momenti della gara ma anche il modo di fare dei giocatori. In tv ci si concentra spesso sul singolo episodio. È fondamentale, invece, la lettura della gara e l’equilibrio tecnico disciplinare».
Le caratteristiche di un arbitro moderno?
«Ovviamente un grande conoscitore di calcio, in modo da poter leggere prima le giocate. Poi la preparazione atletica, ci alleniamo tutti i giorni per circa due ore».
I suoi inizi?
«Ho cominciato quasi per caso. Facevo l’attaccante, poi mio zio mi chiese di dirigere una gara di ragazzini e da allora non ho più smesso. Vinsi il premio come miglior esordiente. Sono un vigile del Fuoco e ringrazio il Corpo che mi permette di portare avanti la carriera sportiva».
Il suo sogno?
«Lo sto vivendo adesso. In Italia ci sono 35mila direttori di gara, solo 22 arrivano in A. Io ci sono riuscito, adesso devo dimostrare di valerlo. E poi la mia città non aveva un arbitro in A dal ‘64».
Segue altre discipline?
«Sono un grande fan del tennis e di Roger Federer».
Come mai?
«Per le similitudini tra noi e i tennisti: solitudine, capacità di concentrazione e il dover resettare dopo ogni singolo episodio».