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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

«Io ho scelto Parisi, loro facessero quel che vogliono». Il brutale reset della classe dirigente azzurra di Berlusconi, con tanto di operazione nostalgia

«Sai, Giuliano, ho deciso di puntare su Parisi. L’hai portato tu vent’anni fa a Palazzo Chigi. Ed è un vecchio socialista come noi...». Raccontano che al telefono con Amato Silvio Berlusconi si sia abbandonato alla nostalgia per spiegare un’operazione che rappresenta, molto più prosaicamente, un brutale reset della classe dirigente azzurra. Arriva Stefano Parisi, incoronato con un blitz annunciato. Comanderà Forza Italia, senza un incarico formale. E proverà a traghettarla in un contenitore moderato, assieme al Nuovo centrodestra e a quel che verrà. «Devi conquistare gli imprenditori, gente come Barilla – è stato l’input dell’ex premier -. Devi raccogliere fondi e voti». Per adesso, a dire il vero, il city manager ha conquistato soprattutto il risentimento dei colonnelli dell’asse del Nord. «Hanno ridotto il partito al 12% – ha confidato ieri ai suoi Berlusconi -. Io ho scelto Parisi, loro facessero quel che vogliono. Li ho creati io, mi hanno voltato le spalle credendomi finito. Se non gli sta bene, conoscono la porta...».
Da stamane una stanza della mini sede azzurra di San Lorenzo in Lucina è riservata al manager. Lo aiuteranno i tre centurioni Gregorio Fontana, Sestino Giacomoni e Alfredo Messina. Il mandato è chiaro: mappare il partito, regione per regione, per modellarlo come un’azienda. Di fatto, «un’analisi della situazione politica e organizzativa di FI ed un progetto per il rilancio e il rinnovamento dei moderati». Doppio binario, insomma, senza “sporcarsi le mani”, visto che l’ex ad di Fastweb non ricoprirà ruoli formali e sarà libero di dialogare con gli altri centristi. «La verità – ammette l’ex azzurro Rocco Palese – è che Berlusconi lancia quel partito azienda che sogna dal 1994».
Chi vive ore d’angoscia è un pezzo importante della classe dirigente di Forza Italia. Un berlusconiano di ferro come Renato Brunetta si lamenta: «Stefano lo conosco da trent’anni, ma è fuori linea su Renzi. Io organizzo comitati per il no, lui ancora non l’ho visto». Ma è l’asse del Nord a meditare vendetta. Toti, al telefono con gli amici, è furioso: «Non permetteremo a uno che arriva da fuori di metterci ai margini». Con lui Romani e l’ex An Altero Matteoli. Hanno messo in piedi in pochi mesi una struttura parallela, promettendo ai dirigenti un’imminente investitura del governatore ligure: «Siamo la cordata vincente, tutto sarà deciso con congressi o primarie». Peccato che già allora Berlusconi meditasse di calare l’asso Parisi. L’operazione al cuore e il pressing di famiglia e aziende hanno fatto il resto. Come reagiranno adesso i colonnelli? Sabato prossimo proprio Toti ha in programma un dibattito con Luca Zaia e Roberto Maroni, alla festa del Carroccio a Cervia. Si farà vedere anche Matteo Salvini, per rinsaldare l’asse anti Parisi. I nemici interni del segretario leghista, però, non restano fermi. E il fondatore Umberto Bossi strizza l’occhio al manager: «Lo conosco, è un po’ burocratico ma parecchio sveglio».
Sveglio è sveglio, ha spiegato anche Gianni Letta, ma soprattutto è ben visto dai partner occidentali. «Quando visito le ambasciate – ha raccontato ai dirigenti – tutti mi chiedono: “Cosa accade all’Italia se vince il no? E chi verrà dopo?”. Ecco, dobbiamo mostrarci responsabili: una cosa è Salvini, un’altra è Parisi».