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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Sono cinquemila i foreign fighters partiti per la Siria e un terzo è già rientrato per colpire in Europa

Cinquemila eurpei sono partiti per combattere in Siria e in Iraq sotto la bandiera del Califfato. «E un terzo di loro sono già rientrati, pronti a colpire a casa nostra così come loro richiesto dall’Is: nuovi attacchi organizzati potranno presto ripetersi in Europa». È l’Europol a lanciare il vero allarme del terrorismo di casa nostra: i reduci, i
foreign fighters che rientrano dopo aver combattuto in Medio Oriente.
In un rapporto pubblicato nei giorni scorsi, il coordinamento delle polizie europee fa il punto sugli ultimi 18 mesi di terrorismo. Un conto di guerra («50 attacchi in 18 paesi, con più di 1.100 morti e oltre 1.700 feriti») ma anche un allarme su quello che potrà continuare ad accadere nei prossimi mesi. «Un esercito di 1.800 persone è, potenzialmente, pronto a colpire in qualsiasi momento in Europa. La nuova indicazione di Daesh è quella di attaccare “bersagli interni”. E – spiega una fonte dell’Europol – i foreign fighters, come ha dimostrato l’attacco di Parigi del 13 novembre, sono molto più pericolosi degli auto radicalizzati: l’esperienza di formazione e di combattimento acquisita in guerra li rende perfettamente in grado di organizzare o compiere attentati, sia sotto la direzione dell’Is sia autonomamente». L’Europol ha raccolto indicazioni specifiche in proposito: «Chi torna, racconta di essere stato sottoposto a condizionamento psicologico specifico durante il tempo trascorso nei vari teatri di conflitto, come appunto la Siria». Dai dati raccolti, circa i tre quarti dei foreign fighters di ritorno si trovano in Belgio, Francia, Germania e Regno Unito. In Italia i “combattenti di ritorno” censiti dall’Antiterrorismo sono poco più di novanta, con la novità che da qualche mese è a disposizione dell’autorità giudiziaria italiana il primo “foreign fighter returnee”: si tratta di Rok Zavbi, 26 anni, arrestato il 6 maggio a Lubiana su mandato d’arresto del gip di Venezia con l’accusa di aver arruolato due combattenti macedoni partiti da Belluno per la Siria. Dalle indicazioni in possesso delle intelligence europee «mentre è costante il flusso dei
foreign che partono per la Siria – spiegano dall’Europol – è in aumento quello di ritorno, proprio perché l’indicazione è di spostare in Europa il conflitto». Non si tratta di semplici soldati. «La maggior parte di loro ha ruoli di rilievo all’interno dell’Is e dunque la capacità di mantenere contatti continui con i vertici dell’organizzazione». Sono poi sempre più in calo le età di chi si arruola: «Ad esempio – si legge nella relazione – l’Austria ha registrato che più della metà dei loro combattenti ha meno di 25 anni, il Belgio ha riferito che l’81 per cento erano tra 18 e i 35, in Germania più del cinquanta per cento aveva meno di 30 anni, in Gran Bretagna sono under 26 mentre in Svezia tutti dai 18 ai 30». Mentre nei giorni scorsi era arrivato in Francia un allarme specifico proprio sulle chiese, la polizia europea sostiene che «nella scelta degli obiettivi Is sembra avere una preferenza per gli obiettivi morbidi: non quindi infrastrutture o simboli politici o militari ma qualcosa che riesca a seminare paura tra la gente». Una novità degli ultimi mesi sarebbe la scelta da parte di Daesh di utilizzare le donne, per portare messaggi dalla Siria all’Europa, ma anche come possibili kamikaze. Mentre il canale di arrivo con l’immigrazione clandestina viene molto ridimensionato da Europol. «La maggior parte dei foreign fighters – dicono – entra legalmente. In Spagna c’è il caso di un combattente che ha addirittura ottenuto un prestito bancario per spese di viaggio. Mentre, spesso, vengono utilizzati documenti fasulli, magari contraffacendo quelli di terroristi deceduti durante il combattimento. Per questo, come fa l’Olanda, sarebbe opportuno lasciare nei database anche i nomi dei terroristi anche dopo la loro morte presunta». Quello dell’armonizzazione delle norme resta il vero problema europeo: «I singoli stati non riescono ancora ad armonizzare le norme: non esiste ancora nessuna legge che, definendo il concetto di combattente straniero, sancisce una punibilità senza frontiere dei fighters».