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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Erdogan, Gülen e il golpe del 15 luglio

  Il tentativo di golpe in Turchia è avvenuto il 15 luglio e dai resoconti sembra che il presidente Recep Tayyip Erdogan abbia fatto arrestare, o messo al bando, qualcosina come 80.000 persone fra gli appartenenti all’esercito, alla polizia, ai giudici, agli insegnanti, e ai docenti universitari. È del tutto evidente che nessuna inchiesta, per quanto condotta brillantemente, poteva riuscire ad accusare persone in cotanta quantità in pochi giorni!
Mario Russo
Caro Russo,
Premetto di non avere dubbi, personalmente, sull’esistenza di un putsch organizzato da una parte delle forze armate. Molti generali detestano Erdogan e avevano un conto in sospeso da quando il leader del partito Giustizia e Sviluppo li aveva trascinati in tribunale per rispondere di accuse verosimilmente false. Gli rimproveravano con ragione di avere tradito lo spirito di Atatürk, lo accusavano di avere fatto in questi anni una politica estera avventurista, erano convinti che, di questo passo, avrebbe pregiudicato le relazioni con gli Stati Uniti. Purtroppo, per loro, non hanno tenuto conto della popolarità che Erdogan ha conquistato in quei settori della società turca e della media borghesia anatolica che sono economicamente cresciuti grazie alla politica del suo governo. Quando il presidente li ha chiamati a manifestare contro i golpisti, gli hanno immediatamente obbedito, con risultati di cui, grazie alla televisione e alle reti sociali, siamo stati tutti testimoni oculari.
È certamente vero, tuttavia, che il presidente turco ha approfittato del golpe fallito per regolare, a sua volta, un altro conto in sospeso: quello con un vecchio esponente dell’Islam turco che era stato in passato un suo compagno di battaglie politiche. Fethullah Gülen è un personaggio assai complicato, in parte predicatore, in parte generoso finanziatore di iniziative caritatevoli in Africa e in Asia, in parte uomo politico. Appartiene al sufismo, una corrente dell’Islam devota e operosa che ricorda, per certi aspetti, il giansenismo. Ha lasciato la Turchia nel 1999, quando temeva di essere nel mirino dei militari, ed è stato accolto negli Stati Uniti grazie ai buoni uffici di un ex agente della Cia che lo ha raccomandato per un permesso di soggiorno in Pennsylvania. Ma non ha perso il contatto con il suo Paese dove può contare su molti estimatori e ammiratori nel mondo degli affari, della pubblica amministrazione, della magistratura, della polizia e della istruzione. Ha fondato mille scuole, al tempo stesso musulmane e moderne, in cui si è formata in questi anni una parte della classe dirigente; ha potuto contare per molto tempo su una stampa che simpatizzava con i suoi programmi e su associazioni di imprenditori che operavano come una seconda Confindustria. La rottura dei suoi rapporti con Erdogan risale al 2013, quando la stampa vicina a Gülen ha accusato di corruzione il suo clan famigliare.
È indubbiamente lecito non provare alcuna simpatia per lo stile di Erdogan, per le sue ambizioni autoritarie, per la brutalità dei suoi metodi. Ma è difficile negare che Gülen stesse costruendo uno Stato nello Stato e che godesse della protezione di un Paese straniero.