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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

È stato venduto il miliardesimo iPhone

Il 9 gennaio 2007, dal palco di MacWorld, Steve Jobs l’aveva definito – con quello che oggi pare uno dei rarissimi momenti di understatement della sua vita da straordinario comunicatore – «una rivoluzione nella telefonia mobile». E, perfezionista com’era, è probabile che se Jobs fosse ancora qui, invece di accogliere con un sorriso la notizia del miliardesimo iPhone venduto – uno ogni sette abitanti del pianeta – si chiederebbe come mai ci sono voluti nove anni invece di otto, o sette, e penserebbe già al prossimo prodotto, alla prossima rivoluzione. D’altronde nessuno era più bravo di lui nel chiedere al suo team concentrazione assoluta: il suo braccio destro Andy Hertzfeld dai tempi eroici dell’Apple II era abituato a vedersi strappare il cavo del computer dalla presa di corrente nel muro, se l’amico Steve riteneva che non gli stesse prestando la dovuta attenzione.
Ieri sono stati diffusi i conti trimestrali del gruppo di Cupertino: 42,3 miliardi di dollari di ricavi, 7,8 miliardi di utili. Un miliardo di iPhone, al netto delle conseguenze sul titolo in Borsa, hanno un significato preciso: per un miliardo di volte qualcuno, nel mondo, ha comprato un computer da taschino, che oltre al lavoro del pc fa anche quello della fotocamera digitale e del telefono. Il gadget come estensione della nostra mano e dei nostri pensieri, l’iPhone come la Kodak Brownie (nella categoria di prezzo più popolare) e la Leica I (più costosa) che liberarono le macchine fotografiche dal treppiede rendendole portatili, con una pellicola molto più piccola di quelle tradizionali, addirittura da trasportare (quella della Leica) in un piccolo cilindro, anche in tasca. L’iPhone come le prime macchine per scrivere portatili: la Blickensderfer in quella scatola di legno che oggi ci pare un po’ buffa ma nel 1892 fu rivoluzionaria e che rese portatile la Remington da scrivania, che fino ad allora poteva essere usata solo in ufficio, sul tavolo. E poi le macchine-capolavoro (di design) della Olivetti, prima tra tutte la MP1 resa immortale dalla fotografia di Fedele Toscani scattata qui, in via Solferino 28: Indro Montanelli nel 1940 al ritorno dal fronte, che scrive seduto su una pila di copie del Corriere della Sera.
Oggetti rivoluzionari come il Walkman Sony che nel 1979 rese possibile ascoltare un nastro magnetico ovunque, senza cavi elettrici, e che ispirò l’iPod del 2001. Jobs diceva che i prodotti che cambiano il mondo sono quelli che non seguono le richieste del pubblico, ma anticipano i desideri (quando la fabbrica non riusciva a consegnare nei tempi stabiliti il suo sfortunato, innovativo computer Next, Jobs insisteva che non era in ritardo, ma in anticipo di 5 anni). E se la piccola, elegante scatoletta della Sony grande appena a sufficienza per contenere un nastro magnetico, le pile e la presa per le cuffie, rivista 37 anni dopo ci pare goffa, dovremmo ricordare le parole di un altro che di rivoluzioni se ne intendeva, Benjamin Franklin. Che, osservando felice i primi palloni ad aria calda – antenati della mongolfiera – levarsi nel cielo, rispose a chi gli chiedeva a cosa potessero mai servire, così lenti e fragili: «A che cosa serve un neonato?»