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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Walter Veltroni parla della convention di Filadelfia («Si ritrova il valore della scelta delle parole), di Trump («Vende la paura con rapidi slogan»), della bambola gonfiabile di Salvini («È la semina dell’odio»), della sinistra («Ci vuole l’idea di una società nuova»)

«È di straordinario interesse, in queste ore, seguire la convention democratica di Filadelfia, ascoltare discorsi come quello di Sanders, di Michelle Obama. Si ritrova un valore ormai dimenticato nella vita pubblica e politica, quello della scelta delle parole». Walter Veltroni segue l’universo degli Usa da quando era ragazzo. Oggi, lontano dalla vita pubblica italiana, propone un’analisi sulla politica che riguarda l’America, ma non solo.
Le parole, lei dice, sono un valore dimenticato. Ma non si è abusato troppo delle parole, nella nostra era mediatica?
«Direi il contrario. Perché quando si dice “basta con le parole” c’è sempre il buio della violenza dietro l’angolo. Viviamo in un’era in cui sono solo i gesti a prevalere. Invece, quando c’è il caos, quando occorre una bussola per non farsi trascinare dalle ventate emotive e dagli istinti irrazionali, quando c’è la paura, le buone parole aiutano a far sì che tutto questo buio non si impadronisca di te e delle tue scelte. E c’è bisogno di discorsi pubblici che restituiscano il senso di un cammino e l’orizzonte delle speranze. Diceva Elias Canetti: “Nell’oscurità le parole pesano il doppio”. È così. Pensiamo a quanto le parole di Roosevelt alla radio hanno contribuito a far rinascere la democrazia, quanto quelle di Kennedy abbiano segnato un tempo di cambiamento, quanto quelle di M. L. King abbiano segnato il destino di milioni di uomini. Quando Michelle Obama ricorda che oggi nella Casa Bianca, costruita da schiavi, vivono le bambine afroamericane figlie di un presidente nero, vuole proprio dare la percezione di un cammino grande e comune. Del valore di quella bellissima parola che è “politica”. Che è fatta di coscienza del passato, di idee per il presente, di un disegno per il futuro».
In una stagione come la nostra, discutere di parole e di discorsi può sembrare un’astrazione. Lei parla della convention democratica, ma Trump secondo la Cnn è in vantaggio nei sondaggi. Sono fatti, non parole.
«Invece è sempre una questione di parole. Un anno fa dissi che Trump avrebbe vinto le primarie repubblicane, e risero in tanti. Sul suo banchetto politico Trump vende, con rapidi slogan, la paura: la merce oggi più spendibile, in un momento in cui la vita sembra essere precaria, dal lavoro alla sicurezza personale. Se prevale la paura, la prospettiva che il mondo precipiti in un’avventura drammatica diventa purtroppo molto reale. I presupposti non mancano: una recessione economica lunghissima, con conseguenze umane e sociali devastanti, una profonda crisi delle istituzioni democratiche, ovunque nel mondo. E poi la minaccia del terrorismo, il dramma dell’immigrazione, gli effetti di una rivoluzione tecnologica che per la prima volta nella storia cancella lavoro invece di crearne».
Ma Trump potrebbe davvero vincere, come sostiene da tempo il regista e polemista Michael Moore?
«È un momento in cui l’impossibile non esiste più. La Brexit sembrava un’ipotesi remota, fino a qualche mese fa. E chi avrebbe mai creduto che milioni di francesi avrebbero creduto nel lepenismo?».
Seguendo il suo filo delle parole, perché Trump sta convincendo così tanti americani?
«Trump è riuscito in un’operazione paradossale. Apparire il paladino dei “lontani dal potere”, colui che può smontare l’edificio di istituzioni che sembrano lontane. Non è il repubblicano moderato. È un estremista, figlio di tempi in cui è difficile vincere al centro e prevale la tendenza a radicalizzare le posizioni. È già successo, nella storia».
La paura pesa: potrebbe pesare anche in Italia?
«Ci sono momenti in cui diventa dicibile ciò che ieri era indicibile. Vorrei ricordare che il Paese di Dante e Michelangelo varò le leggi razziali fasciste. E nessuna famiglia ritirò i figli dalle scuole per protesta contro l’allontanamento dei bambini ebrei. Ci furono le ovazioni per l’entrata in guerra. Ricordiamocelo».
I gesti: cosa pensa della bambola gonfiabile esibita da Salvini e del paragone con la presidente Boldrini?
«È la semina dell’odio, la contrapposizione personale e volgare. Non si accetta che esista l’altro da sé. In ogni campo».
Questo suo discorso funziona anche per la situazione politica italiana, per il governo Renzi?
«Non voglio entrare in questo dibattito. Dico che mai come ora c’è bisogno di politica alta, di ragione e di emozioni positive. La politica è bella anche perché, specie quando tutto cambia, si “capisce insieme”, si ascolta, si studia, si cambia idea. Insieme. Ora il dibattito si riduce nel dire in cinque minuti se un leader è un genio o un cretino. Io nei miei discorsi più importanti – al Lingotto, al Circo Massimo o al congresso dei Ds che segnò la nascita del Pd – ho sempre cercato di trovare l’armonia tra la ragione e le emozioni. Faticavo tanto per farlo. Mi hanno insegnato così. Qualcosa di profondamente diverso dal “ciaone”, insomma».
La sinistra europea appare in drammatica crisi. Non è più un interlocutore in campo comunitario. C’è una soluzione?
«Forse è il tempo che la sinistra riformista abbia il coraggio di dirsi che non bastano più buoni provvedimenti e programmi. Ci vuole l’idea di una società nuova. Il socialismo nacque con la rivoluzione industriale. Un’idea di libertà e giustizia sociale per questo tempo inedito e pericoloso è necessaria. Se non si costruisce una ragionevole e appassionante speranza, vincerà la paura».