Corriere della Sera, 27 luglio 2016
«Siamo in guerra contro l’Isis e la vinceremo». Parola di Hollande
Lo ha ripetuto due volte, François Hollande. La prima, con la voce rotta dall’emozione, a Saint-Etienne-du-Rouvray, in Francia: a pochi chilometri dalla sua città, Rouen. La seconda, dopo un incontro all’Eliseo con il primo ministro e i responsabili di Interno e Giustizia, in tv. «Siamo in guerra contro Isis – ha detto —. La combatteremo con tutti i mezzi, nel rispetto del diritto: perché questo fa di noi una democrazia. E vi assicuro che questa guerra la vinceremo».
L’ennesima giornata passata alle prese con l’orrore del terrorismo è iniziata, per Hollande, non appena avuta notizia dell’attentato, quando il presidente ha deciso, immediatamente, di recarsi sul posto. Per parlare con i sopravvissuti alla strage, e per rassicurare, e convincere, una nazione stremata da una serie ormai lunghissima di stragi.
«Ancora una volta», ha detto, con al fianco il sindaco della cittadina teatro dell’attentato, Hubert Wulfranc, «siamo messi alla prova. E siamo di fronte a una organizzazione terroristica, Isis, che ci vuole dividere. Non ci riuscirà». Parole ribadite dal premier, Manuel Valls: «Faremo blocco».
A dare corpo, e lacrime, a questo appello è stato proprio Wulfranc, 60 anni, professore di storia e geografia, primo cittadino di Saint-Etienne: «Facciamo in modo, tutti insieme, che noi si sia gli ultimi a piangere. Facciamo fronte comune contro la barbarie».
Ma quel fronte comune contro «una minaccia mai così pericolosa come ora, per la Francia e l’Europa» viene incrinato, immediatamente e irrimediabilmente, dalla polemica politica. Che divampa prima ancora che i dettagli dell’attentato venissero chiariti. «Il modus operandi fa evidentemente credere a un nuovo attentato da parte dei terroristi islamici», twitta, poco dopo mezzogiorno, Marine Le Pen. È il segnale: l’indicazione che l’epoca delle tregue dettate dal lutto è definitivamente tramontata.
«È guerra, non c’è altra scelta che combatterla e vincerla. È l’anima della Francia ad essere toccata. Dobbiamo cambiare tutta la strategia della nostra risposta», twitta l’ex presidente e leader dei Républicains, Nicolas Sarkozy: che chiede al governo di far proprie le proposte del suo partito, «già presentate dopo Nizza», come «l’espulsione degli stranieri a rischio radicalizzazione, schedati con la lettera S». La misura non avrebbe riguardato uno dei due attentatori di ieri, di nazionalità francese: ben noto però alle forze dell’ordine, e sottoposto al braccialetto elettronico dopo aver tentato di andare a combattere in Siria.
Anche l’avversario di Sarkozy per le primarie, Alain Juppé, affida a Twitter il suo «sgomento». Ma è di nuovo la leader del Fronte ad alzare il tiro, e a indicare quale sarà la strategia politica che continuerà a portare avanti, d’ora in poi: «La responsabilità di tutti coloro che ci governano da 30 anni è enorme. Vederli chiacchierare è ripugnante».
Hollande accoglie intanto la vicinanza dei governi amici – da quello degli Stati Uniti, che sottolinea «il comune impegno a difesa della libertà di fede di tutti», a quello italiano. Telefona a papa Francesco, in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù, per esprimergli il proprio cordoglio. Annuncia per oggi la riunione del consiglio di sicurezza e difesa all’Eliseo.
Ma soprattutto indica – dopo le polemiche divampate, anche nel suo stesso partito, sugli «eccessi» di uno stato d’emergenza che prosegue ormai da mesi – che non ci saranno concessioni ai partiti di destra su un’ulteriore stretta alle libertà dei cittadini. «Le leggi votate a partire dallo scorso anno danno già al governo capacità di azione. Restringere ancora le nostre libertà non renderebbe più efficace la lotta al terrorismo».
La polemica interna si sovrappone al dolore: troppo prossime le scadenze elettorali, troppo delicata la partita politica. Lo stesso scenario che anche Angela Merkel è costretta a fronteggiare. Ieri la cancelliera ha deciso di interrompere il proprio brevissimo periodo di vacanze, reso invivibile dagli attacchi di Reutlingen e di Ansbach, domenica. Ieri il presidente bavarese Horst Seehofer – dello stesso partito di Merkel, ma suo feroce critico sulla gestione dei migranti – ha chiesto una verifica supplementare di tutti i profughi arrivati finora in Germania: «Dobbiamo sapere chi si trova in questo Paese», ha detto in una conferenza stampa. Anche Merkel, giovedì, ne terrà una, «su temi interni e internazionali». Era prevista per dopo l’estate: ma la sua estate, e quella dell’Europa, non è mai davvero iniziata.