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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Confessioni del giovane Donnarumma

Ti viene in mente che in fondo ha solo 17 anni quando ti fissa con gli occhi imbarazzati e mormora: «Purtroppo non ci sarà, ma se mercoledì vedessi Neuer non credo gli chiederei la maglia. Mi vergogno...». È come se improvvisamente gli cadesse la maschera da adulto, sotto la quale c’è un ragazzo nato nel 1999. Il fatto è che Gigi Donnarumma di maschere non ne indossa: la sua imperturbabilità e la sua maturità immensa per l’età, sono qualcosa di naturale. Di caratteriale. Gli permettono di affrontare senza tormenti un ambiente che ti divora, se non ci stai attento. Domani arriva il Bayern? Nessun problema. Gigio, come lo chiamano tutti, è ancora in una fase di sdoppiamento, perché deve far convivere il ragazzo con il professionista, e a volte è come essere due persone in una: «Ci sono momenti in cui mi riguardo in tv o leggo ciò che si dice di me, e mi chiedo se sono davvero io». Il rischio di cortocircuito è alto, ma si può tenere sotto controllo grazie a qualche coperta di Linus. Quella della famiglia, quella del Milan. Per capire bene di cosa si sta parlando, basta riavvolgere il nastro di dodici mesi. Tournée estiva in Cina: Gigio fu convocato assieme a Diego Lopez e Abbiati, e già gli sembrava di toccare il cielo con un dito. Parò anche un rigore al Real Madrid. Un anno dopo, il Milan è finito tra i suoi guanti. Gerarchie frullate, scetticismi messi a tacere molto in fretta, club che per lui ha pronti rinnovi contrattuali a vita. E poi una serie di primati legati all’età. L’ultimo racconta che è il più giovane tra i titolari dei cinque tornei principali europei. E al Milan tutti concordano su una cosa: nell’ultima stagione di supplizio, lui è stato l’unico vero sorriso.
Ma come fa a restare così tranquillo con tutto quello che le è successo nell’ultimo anno?
«È una cosa di famiglia. Siamo tutte persone umili, abituate a tenere i piedi per terra. Mi viene naturale affrontare tutto quanto senza farmi trasportare troppo dalla fantasia».
Quindi se non avesse una famiglia così alle spalle, che cosa potrebbe succedere?
«Senza di loro sarebbe facile cadere in tentazione e montarsi la testa».
Lei appare sempre molto equilibrato, anche nei frangenti più delicati. Possibile che non la preoccupi mai nulla?
«Non è esattamente così. A volte l’ansia la sento arrivare, e lavoro su me stesso per tenerla sotto controllo. Ma non pensate a chissà quali segreti psicologici: mi basta una partita alla Playstation per allontanare la tensione. L’importante è far andare la testa da un’altra parte».
Immaginiamo a cosa possa giocare...
«Beh, ovvio: Fifa 16. Mi sono anche auto-comprato al calcio mercato, ho speso 5 milioni (ride, ndr)».
Quanta modestia: si rende conto che nella vita reale ne vale molti di più, vero?
«Cerco di non pensarci. È successo tutto molto in fretta, io penso a vivere il momento e non mi pongo limiti. Da tifoso vedermi nel Milan è una sensazione bellissima, ma mi fa ancora un po’ strano».
Si dice che il secondo anno, quello della conferma, sia sempre il più difficile.
«Non lo temo, sono sereno perché conosco solo la cultura del lavoro, e il lavoro paga».
Berlusconi ha detto che lei sarà il portiere del Milan per i prossimi vent’anni. Un bel complimento che in qualche modo la può spaventare?
«Assolutamente no. L’idea di rinnovare mi piace molto e mi piace anche pensare a un rapporto col Milan duraturo negli anni. Concettualmente sono uno che non ha problemi al pensiero di fare tutta la carriera nello stesso club. E siccome sono da sempre tifoso rossonero, dico anche che la fascia da capitano sarebbe un sogno, il coronamento di un percorso. Ovviamente, ogni cosa a suo tempo».
A proposito di tifosi: che effetto le fa essere uno dei pochi, forse l’unico, a essere applaudito da San Siro in mezzo a un mare di fischi?
«Mi fa molto piacere essere così apprezzato, ma sentire tutti quei fischi è difficile da accettare. Però capisco la gente: da tifoso fischierei anch’io».
Che cosa in particolare non vuole rivedere del Milan dell’anno scorso?
«I cali di concentrazione. Ma non ci possiamo nascondere: iniziamo a raggiungere l’Europa, poi vediamo quale Europa sarà. Dico solo che il Milan fuori dalle coppe non si può vedere. La concorrenza sarà dura, ma il Leicester ci insegna alcune cose...».
La prima di campionato rivedrà Mihajlovic, l’allenatore che l’ha lanciata. Che effetto le farà?
«Non lo ringrazierò mai abbastanza, gli devo molto, ma io voglio iniziare bene il campionato».
Che cosa le disse prima di farla debuttare in campionato?
«Era la vigilia di Milan-Sassuolo ed eravamo in ritiro a Milanello. Mi prese da parte e mi chiese se me la sentivo. Lì per lì rimasi attonito, non me l’aspettavo, ma lui sapeva bene che avrebbe potuto contare su di me».
Mihajlovic ha avuto molto coraggio a puntare su un ragazzo giovane come lei.
«È vero, e mi piacerebbe che questo accadesse di più. Vedo troppo poco coraggio, bisognerebbe azzardare un po’ di più e dare maggiori possibilità ai giovani».
Non c’è più Mihajlovic, e non c’è più nemmeno Brocchi.
«Anche lui è stato molto importante per me, mi ha tirato su nelle giovanili. È una grandissima persona».
Prime impressioni su Montella?
«Ottime. Ha tanta voglia, ci troviamo tutti bene. È l’allenatore giusto per ripartire».
Lei è rimasto orfano di Abbiati, praticamente un secondo fratello...
«Ci manca, ma io lo sento con regolarità, continua a essere un punto di riferimento per me. Mi dice sempre di continuare così. E mi ricorda che anche lui al debutto a San Siro prese un gol sul suo palo come è capitato a me con il Sassuolo: quindi sostiene che mi aspetta la sua stessa carriera. Magari! Quando ha dato l’addio al calcio e mi ha sollevato le braccia al cielo, non me l’aspettavo. Sono rimasto impietrito e poi sono scoppiato a piangere».
Antonio, il suo fratello vero, invece si è appena trasferito in Grecia, all’Asteras Tripolis.
«Con lui ho un rapporto fantastico, ci sentiamo tutte le ore, è il mio punto di equilibrio. Mi piacerebbe prima o poi ritrovarci nella stessa squadra. Sono certo che farà bene».
Come ci si sente ad aver relegato in panchina uno come Diego Lopez?
«Con lui ho sempre avuto un ottimo rapporto, anche quando sono diventato titolare mi è stato vicino, dandomi tanti consigli. Questo mi ha aiutato molto a non sentirmi in colpa...».
Il momento più emozionante?
«Il derby del 3-0».
L’errore da non rifare.
«Il gol di Berardi preso sul mio palo, il giorno del debutto».
L’aspetto da migliorare? E il suo punto di forza?
«Il gioco con i piedi. Mentre mi piace la mia tranquillità caratteriale. In campo occorre che io gestisca la partita non da 17enne, ma con maturità».
Parola di giovane saggio.